queste brevi righe partono da un ricordo personale (mi si perdoni) legato ad uno dei primi 5 cd che acquistai (in blocco) non appena mi potei dotare di un impianto modernissimo (per il tempo) idoneo alla lettura dei compact discs. magari qualcuno i cd li ricorda: erano quegli oggetti brutti (e mai saranno belli) di forma circolare, da un lato (sotto) una smorfia riflettente come la faccia di uno specchietto per le allodole e sull’altro alcune scritte relative al disco; nessun essere umano (confessarlo fa bene) ha mai capito come potessero funzionare, ma funzionavano restituendo una musica algida e perfettamente liofilizzata con la (falsa) promessa di durare in eterno.
ebbene, uno di quei 5 dischi era Music From The Penguin Cafe eseguito dalle Penguin Cafe Orchestra mirabilmente capitananta dal compianto Simon Jeffes; quel cd inizio a girare vorticosamente dentro al mio nuovo lettore senza subire le ingiurie del tempo e della polvere e debbo dire che lo posso ancora vedere nella sua bella costa azzurra (nel senso di lato del packaging) dar sfoggio di sé nella libreria qui di fronte a me. la musica dei pinguini entrò per osmosi dentro al mio dna e nessuno da laggiù la smuoverà.
è forse per questo che mi sono affezionato ad Arthur Jeffes, che di Simon è figlio, con lo stesso sentimento con cui si accarezzano i figli degli amici che non ci sono più. anche Arthur è musicista (pianista) e di fronte al grande dilemma dei figli d’arte ha optato coraggiosamente per la via maestra che inizia laddove il padre aveva dovuto abbandonare. 13 anno dopo la scomparsa del leader dei pinguini, il figlio ha ripreso in mano la banda ribattezzandola Penguin Cafe per tornare ad eseguire le sognanti musiche del padre.
di questo passo era quantomeno auspicabile che Arthur Jeffes potesse prendere la via autoriale solitaria, e infatti così è stato. la creatura con la quale affronta il debutto (così lo si può chiamare) prende il nome di Sundog ed è divisa in pari misura con il violinista Oli Langford. il disco si intitola Insofar ed esce in questo 2012 per la Editions Penguin Cafe. pianoforte, harmonium, rhodes (Fender, si intende) e dulcitone per Arthur Jeffes, violino e ring mod per Oli Langford: nulla di più. come si deduce siamo di fronte ad una musica strumentale dal forte impatto cinematico e cameristico allo stesso tempo. qualche vaga reminiscenza di minimalismo, un tocco di britannicità che non guasta e la lezione dei grandi compositori inglesi (e non) più recenti (Nyman e Mertens per non fare nomi).
il disco è godibile, intenso e suonato a viso aperto, con il dovuto coraggio. in cuor mio guardo affettuosamente al figlio di Simon Jeffes e penso (in silenzio) che purtroppo manca il sogno dell’altrove che il padre sapeva infondere alla sua musica. quel tocco straniante e vagamente (fintamente?) esotico che portava lontano in una specie di nostalgia di luoghi sconosciuti.
ma ad Arthur Jeffes (ed al suo Sundog) gli si vuole bene a prescindere e ci tenevo ad annotare questa breve digressione metà biografica (mia) e metà musicale (sua) in questo luogo. buon ascolto.
Sundog Insofar
Grazie, condivido il tuo affetto per la famiglia Penguin e ti ringrazio per la segnalazione http://www.mentelocale.it/30070-i-penguin-cafe-ripartono-da-arthur-jeffes-la-recensione-del-disco/
Invero saprei poco-ò-nulla di ciò di cui (ci) favella, però l’ho trovato davvero un ottimo disco. I miei (umili) remerciementi. Or Vùàr.
e allora caro s.c. permetta che la mandi a quel paese dove i pinguini suonano melodie inaudite. a parte il giocoso gioco di parole il mio consiglio è saccheggiare la discografia dei Penguin Cafe Orchestra (quelli del padre) e ne trarrà sicuro giovamento auditivo.
a presto