che musica ascolti? è una di quelle domande che risparmio al prossimo e dalle quali cerco di rifuggire: porre certe questioni agli sconosciuti potrebbe portare a conseguenze nefaste, come del resto cercare di evitarle ci ammanta di una vischiosa melassa fatta di snobismo ed antipatia. meglio non fare domande. meglio rifuggire dai generi. meglio attenersi all’assunto stigmatizzato da Duke Ellington secondo cui “There are two kinds of music. Good music, and the other kind!” l’eleganza, lo stile e l’acutezza del Duca non si esprimevano solo sul pentagramma, va da sé!
ma nella mia solitudine mi vado chiedendo quale sia la musica che mi piace, a prescindere dai generi (sic!), ascoltando davvero di tutto, invidiando i monomaniaci (che nel loro dogma hanno risposto alla domanda) e continuando ad essere convinto che la vera epifania si compirà solamente con la musica che ascolterò domani (croce e delizia dell’insanabile curioso). e così facendo qualche fumosa risposta comincia ad affacciarsi alla soglia della comprensione, con i suoi contorni imprecisi e con una miseria di sostantivi per cercare di descriverla.
mi corre in soccorso un disco come Songs Of Gold, Incandescent licenziato da Lieven Martens Moana attraverso il suo pseudonimo Dolphins Into The Future per l’etichetta personale Edições CN. che musica è mai questa? come raccontarla?
tralasciando per una volta i dettagli tecnici, le info, le biografie ed i retroscena, mi torno a chiedere: che musica è mai questa?
elettroacustica? seriale? concreta? semplice field recording? pastiche? psichedelia da rigattiere? rumoristica? musica futuristica? musica naturalistica? library?
probabilmente nessuna di queste e tutte queste assieme: nel mio misero vocabolario mi sono detto che l’aggettivo organico (organica nell’accezione femminile rivolta alla musica) potrebbe starci. organica in quanto attinente alle macchine e a gli strumenti, organica riferendosi ad un rapporto con organismi viventi (umani e/o animali e pure vegetali), organica in quanto relativa agli apparati che costituiscono il corpo umano, organica nella relazione e nelle strutture delle parti che formano il tutto.
Songs Of Gold, Incandescent nel bel mezzo dei miei padiglioni auricolari suona come musica organica! un miscuglio di registrazioni diverse, raffazzonate, mescolate e rese a dispetto della qualità acustica che le contraddistingue: “Songs Of Gold are nine small portraits, culled from compilations, limited run cassette releases, choreographies, and 7” singles. Some pieces were worked on for a length of time, others materialized in just about one take. All the songs are derived by an encounter with an object, a place or a person. Or by a combination of these. The events are translated into the work through the intermediary of symbolic sounds and notes. There is no thematic link between the compositions.”
il retro di copertina del disco recita così, ma c’è da chiedersi se le delucidazioni non producano in realtà l’effetto contrario. ogni brano tenta una sua esplicazione ma se si prova ad allontanare lo sguardo per una visione d’insieme e cercare il filo conduttore fra una spiaggia a sud del Portogallo, il crepitio di uno stagno, un poema hawaiano, una grotta sperduta nelle isole Pontine, Le Labrene di Tommaso Landolfi, Paul Gauguin visto a Bora Bora dal bancone zincato di un bistrot parigino, un’eruzione vulcanica, la mitologia delle isole Samoa e un bozzetto elettronico casalingo ecco che la comprensione si squaderna e lo smarrimento prende il sopravvento. eppure il flusso musicale prende senso nel susseguirsi degli ascolti, aumenta la familiarità al pari dell’abbandono, la definizione dei confini con lo smagnetizzarsi della bussola.
questa per me è musica organica, qualsiasi cosa voglia dire! musica fuori dal pentagramma, a piè di pagina, materia amniotica, recondita, liquida e primordiale: musica di scarto o di risulta, inutile nel suo progredire senza scopo, materica ed ancestrale, suono deperibile e fragile. con il tempo mi sono abituato ad avventurarmi in questi luoghi, a perdermici, a ricercarli come rifugio: potrebbe essere a causa dei lunghi anni di militanza nel thc (no! non è un partito politico) o forse della forsennata ed ottusa ricerca di un suono terapeutico e curativo che trascendesse i paradigmi in cui schematizziamo la storia della musica (sempre quelle etichette di cui sopra) e che scavalcando il nostro bagaglio culturale andasse dritto al nocciolo misterioso del nostro ascoltare.
potrei stilare una playlist, una manciata di dischi e di progetti sonori che forse mi aiuterebbero a mappare questo concetto spargolo e fumoso: magari lo farò (non ora) sebbene io non sia certo che classificare e rendicontare vada nella direzione della chiarezza o piuttosto nel suo opposto. per ora mi tengo quest’idea di musica organica immaginando che in un futuro non lontano non sarà improbabile assemblare autonomamente progetti simili a quelli concepiti da Lieven Martens Moana: attraverso quelle diavolerie digitali che ci portiamo in tasca si potrà (forse) concepire una app capace di registrare, elaborare, ricopiare, colorare e rimuginare un esperienza sonora (visiva? conoscitiva? percettiva?) e restituirla attraverso un logaritmo personale e biologico. liofilizzare e rendere in essenza un pomeriggio piovoso, un viaggio a piedi, il silenzio umido di un bosco o il sudore di una maratona. sto vaneggiando, mi fermo e non credo sia neppure il caso di recarsi all’ufficio brevetti, ma se domani facesse la comparsa un marchingegno del genere non sarebbe male gingillarsi un poco. per ora mi tengo questa idea di musica organica che mi piace pensare, ascoltare e condividere.
buon ascolto
Lieven Martens Moana | Dolphins Into The Future Songs Of Gold, Incandescent
Quanto hai scritto mi ha fatto tornare in mente il senso dei 4 minuti e 32 secondi di silenzio di John Cage. Qui c’è persino una app per l’iPhone che permette alle persone in tutto il mondo di registrare e condividere i ‘propri’ 4’32” 😉
http://johncage.org/4_33.html