non sono mai stato a Tuva ed è alquanto probabile che non vi andrò mai. non che sia necessario, ben intesi, ma il fatto stesso di precludersi questa possibilità innesca immediatamente una specie di nostalgia illogica e una blanda curiosità esotica e salgariana. trattasi di meditabonde considerazioni che scaturiscono ogniqualvolta mi imbatto in una dozzina abbondante di canzoni che conservo in formato algido (mp3) dentro l’hard disk e che hanno come autore Oidupaa Vladimir Oiun. un nome al limite dell’onomatopea che il fato (o il vento freddo della steppa) mi ripropone beffardo in modalità d’ascolto random.
Oidupaa Vladimir Oiun, assieme alla poco più celebre Sainkho Namtchylak, è l’unica cosa che potrei balbettare se venissi interrogato in geografia su Tuva. i due però condividono, e utilizzano, il prodotto tipico nazionale di cui può andare fiera questa terra gelata: il Khöömei o Tuvan throat singing (canto di gola di Tuva).
ma le canzoni (per ora le chiamerei così) di Oidupaa Vladimir Oiun assumono i contorni leggendari della letteratura per il fatto stesso di essere state composte, eseguite e registrate dentro un “simpatico” carcere imposto dall’altrettanto “simpatica” occupazione sovietica. 33 anni in un campo di lavoro per motivi che forse neppure lui conosce assumono, per chi non li ha fatti, i caratteri dell’epica. il regime sovietico non era poi così malvagio visto che concesse al nostro la possibilità di “trastullarsi” con un accordeon e addirittura di poterlo suonare. a questo si aggrappò Oidupaa Vladimir Oiun e all’idea di poter comporre e cantare quelle meditazioni sonore che andarono a formare Divine Music From a Jail uscito nel 1999 per la Friends Records.
18 composizioni contagiose che portano (purtroppo) titoli artificiosamente inglesi e delle quali sarà difficile intuire il senso visto che sono cantate in una lingua di derivazione turca, la lingua di Tuva; ma una lingua resa splendente e fascinosa da una tecnica vocale che stordisce e rapisce.
18 salmi che portano lontano sulla groppa di quell’arte cantautorale che si serve di armonie che confonderemo genericamente per orientali, ma che non si faticherà a riconoscere come familiari per certi spifferi melodici che continuano a soffiare fin qui passando dalla porta dei balcani.
la mia curiosità per le “altre” musiche di questo globo gode indecentemente soddisfatta all’ascolto di questo disco, gode e si affanna ad afferrare appigli grammaticali che mi consentano di ricondurre queste canzoni (salmi? meditazioni? preghiere? o soltanto folk songs?) al mio scibile consueto. forse non è questo ciò che si deve fare o forse è semplicemente inevitabile. forse non andrò mai a Tuva ma dopo aver ascoltato disco non posso dire di non averla immaginata.
così come non giurerei che quello qui sopra ripreso sia esattamente il nostro uomo che suona per strada nella capitale Kyzyl. così vi è scritto: ma come esserne certi? l’esploratore da sofà che si annida in me ha cercato oltre è si è imbattuto in questo breve documentario sulle tecniche vocali di Tuva.
quell’uomo in camicia gialla seduto meditabondo a fianco del suo accordeon in una bucolica scena con ruscello non può che essere lui.
Mr.Oidupaa Vladimir Oiun, I suppose!
buon ascolto
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