Roberto Goyeneche

Credo nella casualità! Ci credo in maniera confusa e distratta, imprecisa. Credo anche che incontrarla voglia dire assecondarla, seguirne la scia. Se in una giornata di fine dicembre tre persone differenti, in momenti diversi del giorno, ti parlano dell’Aleph del “mio illustre cugino” Jorge Luis Borges, che cosa mi resta da fare? Che posso io, se non cercare vanamente di comprendere? E dunque ritorno a prendere fra le mani una bella edizione di quel racconto e lentamente ne riassaporo la meraviglia e la grandezza, e ne annoto mentalmente passaggi e date e l’inarrivabile descrizione di quella visione. Beatriz Viterbo, calle Garay, il 1941, Carlos Argentino Daneri e la demolizione della casa e dunque di quel sottoscala, di quel diciannovesimo gradino.

La casualità diviene mistero quando ti accorgi che ti perseguita e ti precede, ti illude e ti stordisce. Da più di un mese avrei voluto scrivere qualcosa a proposito di Roberto Goyeneche, il grande cantante di tango, l’ultimo grande! E anche di lui avevo annotato alcune date e titoli di dischi, luoghi e archiviato alcune foto. Detto ‘el polaco’ per i suoi capelli biondicci, Goyeneche nacque a Buenos Aires nel gennaio del 1926. Inizia la sua carriera a soli diciotto anni, come cantor nell’orchestra di Raúl Kaplún.

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Facendo i dovuti ed improbabili calcoli, vuol dire che il suo esordio seguì di pochi mesi la demolizione della casa di calle Garay, nella stessa Buenos Aires, la casa dove Borges vide l’Aleph!
Il pretesto è forzato e improbabile, i libri di Borges accompagneranno l’umanità che sempre faticherà ad abbracciarne la grandezza, i dischi di Goyeneche invece, continueranno ad offrire minuscole cartoline argentine, piccolissimi aleph nel quale fuggire altrove. Fuggire in una domenica mattina che profuma di acqua di colonia e brillantina, e scarpe lucidate e dialetti italiani che si mischiano, fuggire a Palermo (quartiere porteno) o nel barrio del tango. Chiudere un poco gli occhi ed ascoltare le volute del tango dell’orchestra di Anibal Troilo Pichuco che accompagnano la voce del ‘polaco’ e rimanere abbacinati dalla luce della città o dai colori di certi abiti attillati!
Goyeneche aveva mustacchi antichi, completi impeccabili e capelli pettinati all’indietro alla moda del tempo, ed una voce passionale che tradiva vicende torbide d’amori e di danze, di tradimenti e disperazione. Il tango, esattamente così come lo si pensa, così come lo si balla. L’argentina e le stagioni rovesciate, le larghe avenide della città e quei visi insieme familiari e misteriosi. Dentro a quei dischi c’è un piccolo aleph, la suggestione di luoghi e passi appena abbozzati di un ballo così denso da assomigliare sin troppo alla vita.

El tango es un pensiamento triste che se baila! (Enrique Santos Discepolo)

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