di recente mi sono divertito a leggere approfondite dissertazioni sull’esistenza di una terza foto (la fonte è Vanity Fair, sic!) che, a quanto pare, parrebbe ritrarre quell’indemoniato di Robert Johnson. e posso assicurare che sia sul lato ludico che su quello squisitamente filologico musicale ne ho sentite raccontare delle belle. come se davvero oggi, a più di 70 anni dalla morte, avesse ancora senso accanirsi con furia voyeuristica alla ricerca di quello che molto probabilmente neppure esiste, e che in fondo poco aggiunge a quanto già detto o sentito.
evidentemente l’enorme zibaldone di menzogne, bugie e apparentamenti diabolici che lo stesso Johnson di divertiva a portare a spasso ha messo radici ed è giunto fino a noi. la fandonia dell’anima venduta al diavolo nel bel mezzo del crocevia presso la piantagione di Dockery (nel Mississippi rurale), in un vortice di polvere e zolfo, a volte prende persino il sopravvento su quello che invece è il vero lascito del bluesman più celebre della storia. ossia la sua musica.
e a quella sarà bene rifarsi. a quell’unica eredità che fortunatamente è giunta a noi in quelle due (sole) sessioni di registrazione del novembre del 1936 e del giugno 1937. tutto qui. 29 blues che divengono 41 se si aggiungono le versioni alternative di alcuni di essi. un’opera omnia tutto sommato esigua rispetto a ciò che avrebbe potuto essere, ma di quella sarà bene accontentarsi. e a quella attenersi.
The Complete Recordings di Robert Johnson presumo sia in ogni casa, come il sale o lo zucchero (sto scherzando Steve!!!). nel caso non lo fosse, potete bussare alla mia porta (toc toc) e ve lo presto volentieri.
leggendo appunto di questa fatidica terza foto a me è invece tornata alla mente una preziosa compilation che la Yazoo licenziò nel 2004. e credo che, piuttosto che cercare lacci di scarpe o corde di chitarra, piuttosto che foto o inutili cimeli, sia assai più interessante, per chi volesse saperne di più, ritrovare quelle che furono le radici musicali di Robert Johnson.
Back to the Crossroads The Roots of Robert Johnson è una seria e approfondita analisi filologica di quelli che furono gli ascolti e le suggestioni nelle quali il bluesman del Delta affondò e fu benedetto. perchè in realtà non si trattò nè di diavoli e neppure di satanassi, nè di compravendite spirituali e neppure di miracolose accordature, ma piuttosto di una vorace capacità di apprendimento che fece di Johnson un avido ascoltatore di vinili, di bluesmen che lo avevano preceduto e di esecuzioni dal vivo.
curiosa la sua attitudine camaleontica e la capacità di assemblare in un solo brano diversi blues, carpendo e “plagiando” con indiscutibile abilità. variava stili, tonalità e modalità di suono a seconda del brano interpretato e spesso persino la voce si modellava ad imitare il cantante di riferimento. così, se è pur vero che fu Son House la primigenia fonte ispirativa per vicinanza territoriale e vocazione, altri e diversi andarono a completare (in parte) la pletora dei suoi maestri.
Love In Vain non sembrerà troppo dissimile da When The Sun Goe Down di Leroy Carr (1935) e il meraviglioso verso del treno che lascia la stazione era stato usato da Blind Lemon Jefferson nel 1926 in Dry Southern Blues. la celeberrima Sweet Home Chicago deve un po’ troppo a Old Original Kokomo Blues (1934) di Kokomo Arnold ed è bene dare atto a Johnson del buon gusto nello scegliere ed individuare l’allora sconosciuto Skip James e la sua Devil Got My Woman (1931) e in qualche modo farla divenire Hell Hound On My Trail.
la compilation è composta da 23 brani (parte prima e parte seconda) che abbracciano un arco di tempo che va dal 1926 al 1935, giustappunto poco prima che Johnson entrasse per la prima volta in sala d’incisione. è corredata da un bel libretto esplicativo e non è nè più e nè meno straordinaria di quanto lo è l’opera di Johnson stesso al quale, sia ben detto, nessuno vuol togliere l’enorme statura e la straordinaria modernità che lo fa risuonare ancora oggi assai più attuale di molta musica che esce dai nostri stereo.
con buona pace del diavolo e di suo cugino minore.
La musica mi sedusse un po’ alla volta, come una troia prudente […]
Il canto deve, in qualche maniera, avere come obiettivo quello che anticamente aveva la musica cantata, ch’era di far guarire le persone. […]
Fd’A
borg,
questa oggi è la medicina migliore per il mio cuore nero e malato.
thanks brother…
….Yeah man….
Come al solito….centro!
Quando leggo ‘ste cose…purtroppo non spesso…
mi viene sempre in mente una frase in inglese che,sicuramente,anche Robert Johnson diceva spesso…
(e anche alle donne)
…It’s bigger than you think man…It’s bigger than you think…
Thanks brother Borguez…la lista s’allunga…
….e nel mio cuor…”s’adima come una fiumana bella…”
sono lieto di distribuire medicinali vecchi di un secolo ma ancora buoni per cuori neri e malati.
aggiungo il mio alla lista.
visite preziose le vostre.
a Jazz from Italy vorrei dire che quelle parole di Fabrizio mi si sono appiccicate addosso pure a me. più oltre parla pure di catarsi. come fa spesso il mio amico Hank!
a Costantino chiedo di non far mancare il suo apporto, le sue parole e la sua inesauribile energia che pare pulsare instancabile.
thanx
Molte informazioni interessanti si trovano sul libro di MONGE LUIGI
“ROBERT JOHNSON. I GOT THE BLUES
TESTI COMMENTATI”
molte grazie per il compendio!