se è vero che una rondine non fa primavera e che per prendere due piccioni necessita una sola fava e pur vero che tre civette sul comò (oltre a far l’amore con la figlia del dottore) debbono pur significare altro. tante sono infatti, nella consueta girandola di ascolti e riproposizioni, le civette appollaiate sullo schermo della mia scrivania, e, vuoi il gioco o l’insanabile infantilità, mi viene illogico e pertinente accomunarle e proporle qui.
la canzone per bambini racchiude spesso insondabili motivi d’interesse anche per il pubblico più cresciutello, vuoi per quel fanciullino che ciascuno si porta dentro o forse perché dietro una maschera di apparente semplicità si nascondo in fondo verità che non temono smentite. in più la licenza di spaziare fra fantasia e demenzialità ha sempre attratto compositori di tutte le età e movimenti culturali che al sogno (naturale o indotto) e alla naturale innocenza rivolgevano le loro aspirazioni creative.
ho spesso rivolto la mia attenzione, a questo proposito, verso l’universo anglosassone, sin da quando, ancora piccino, mi chiedevo perché mai un sommergibile dovesse essere giallo e perchè mai tutti ci stessimo vivendo dentro. pure da adolescente restavo perplesso leggendo il capolavoro di Lewis Carroll trovandoci sfumature assai diverse da una favola apparente. poi fattomi ometto ho capito che le pillole che mi dava la mamma non facevano assolutamente nulla e che i conigli bianchi la sapevano assai più lunga di quanto osassi immaginare. e infine spaventapasseri, elefanti effervescenti e il Birdie Hop (da cui ho rubato il titolo) hanno fatto il resto.
è per questo che appena scoperta questa preziosa ristampa della Poppy Disc mi sono catapultato nell’ascolto. vuoi perchè la voce femminile era di quella (non ancora) Mary Poppins tanto cara ai fanciulli e soprattutto perché le musiche erano composte da un vero e proprio vichingo della sesta avenue.
Tell It Again – Songs Of Sense & Nonsense fu inciso nel 1957 da una giovine Julie Andrews affiancata dall’esperto attore inglese Martyn Green: i due cimentarono le loro ugole in una serie di filastrocche e indovinelli, scioglilingua e giochetti, e lo fecero sulle musiche sghembe e curiose di un Moondog (già si disse) che iniziava allora a far conoscere una delle carriere più strambe e laterali della storia del ‘900. pensavo a quei fanciulli cresciuti ascoltando la stranezza di quei tempi dispari e di quelle percussioni indigene che nel bel mezzo dei ’50 saranno parse perlomeno evocative; ne è uscito un lavoro curioso e divertente, per chi vorrà ascoltarlo, che rinfranca quella piccola dose di non senso necessaria ad affrontare la modernità sordida e indecente.
Moondog with Julie Andrews & Martyn Green Tell It Again – Songs Of Sense & Nonsense
ascoltando le musiche di Moondog mi è tornata alla mente una raccolta di qualche anno fa compilata dall’etichetta Trunk. raccoglieva un caleidoscopio di canzoni e melodie folk che gravitavano attorno alla pioneristica trasmissione inglese Vision On trasmessa dalla BBC dal 1964 al 1976 (video). o meglio: l’emissione era pensata come didattica per i bambini non udenti e utilizzava a tal proposito una serie di animazioni e di figure in movimento. fra queste le celebri fuzzy-felt, vere e proprie pezze multiformi di stoffa utilizzate per comporre figure e oggetti, un gioco comune fra i fanciulli inglesi di quel periodo. musiche e canzoni accompagnavano la trasmissione e furono di certo fonte di ispirazione per tutti quei bambini che più in là imbracciarono una chitarra e si misero a strimpellare.
Fuzzy-Felt Folk è una deliziosa raccolta di quelle canzoni in bilico fra folk classico anglosassone, un tocco di quella psichedelia che invadeva il globo e l’illogica allegria dell’infanzia. gradevole e curiosa, per strani adulti (non cresciuti) e magari pure per i loro figliastri, così come recita la copertina. in più, aggiungo io, il disco contiene una rivelazione relativa al brano My Mother Said di Christopher Casson: lo getto lì a mo’ di indovinello, ma purtroppo non si vince nulla se non la mia stima.
e per ultima, ma solo di posto, viene la terza civetta sul comò a conferma della stretta parentela fra la canzone folk e le narrazioni musicali per i più piccoli. risale al 2001 un cd-r di debutto per la cara (al blog e a chi lo scrive) Josephine Foster: si chiama Little Life e credo sia stato successivamente ristampato dalla Kung Fu Records (non ne sono certo). in ogni caso mi preme sottolineare come si trattasse di una raccolta di canzoni per l’infanzia, udite direttamente o ripescate dalla florida tradizione anglosassone, come volevasi appunto dimostrare. ninna-nanne, filastrocche e strutture giocose accompagnate da banjo, arpa, pianoforte e chitarra e dalla voce di Josephine mai così materna e consolatrice. bellissimo, ma non c’è bisogno che lo aggiunga.
e così si può cantare l’ambarabacci ci cocò di infantile memoria, le tre civette in bella mostra sul comò e tre curiosi dischi a compendio di un ragionamento attorno al quale mi trastullo da qualche tempo.
chi vuol giocare metta un dito qui sotto!
altri fragorosi clap clap, in particolare x Moondog (un grande scoperto da poco) e aggiun anche un grazie per il prosieguo, anche se credo che da parte tua sia inconsapevole, di un mio discorso…
http://osirisicaosirosica.blogspot.com/2010/01/nonne-nipoti-nenie-ninne-nanne.html
inconsapevole sì, ma assai lieto nella concomitanza.
avevo letto la tua quadrilogia in corso di completamento e, annuendo con il capo, non escludo di esserne stato silenziosamente ispirato. chissà?
interessante il tuo disco proposto (a dire il vero raro e sconosciuto).
Moondog ha l’eternità di fronte, sono certo che arriverà un giorno che le sue pensate musicali sembreranno più attuali dell’attualità: pegno che tutti i grandi visionari prima o poi pagano.
Su Moondog non si può che sottoscrivere in pieno. E sono iper-curiosa di scoprire come si combinano le sue melodie sghembe e imperfette con l’ugola dolce come il miele e a suo modo ‘classica’ di Julie Andrews (il cui sorriso, tra le altre cose, mi porterò sempre nel cuore 🙂 ).