per molte vie e per diverse circostanze si procede nell’errabonda attività di nutrirsi di musica; mi capita spesso di ragionarci sopra, per diletto o per segreta ambizione di comprendere logiche e discrimini che guidano gusti e scelte. materia selvatica e cisposa che si inspessisce vieppù che ci si inoltra alla ricerca di affidabili argomenti. di certo, uno dei parametri che più spesso usiamo è quello della similitudine, dell’assonanza riconosciuta e, per questo, gratificante.
la piacevole costruzione di una topografia sonora che ci appartiene diventa il bilancino da tasca con il quale soppesiamo e rimiriamo le novelle novità che giungono ai nostri orecchi. l’attitudine a confermare (o spiazzare) le nostre inclinazioni e il rinvenimento di appigli o capisaldi al quale aggrapparsi per procedere oltre sono attività (oramai) inconsce alle quali affidiamo la letizia (o la delusione) che ci procura una musica inattesa e inaudita.
l’ultimo disco dei Clogs entra nella sfera dei miei ascolti per diverse attinenze e per conclamate ascendenze pregresse. The Creatures in the Garden of Lady Walton (Brassland, 2010) nasce dalla contempozione botanica dei Giardini La Mortella di Ischia, voluti curati e conservati da Lady Susanna Walton (da poco scomparsa) già vedova del musicista Sir William Walton. l’incontro fra Padma Newsome e le meraviglie botaniche avvenne nel 2006 in uno di quei gran tour che spesso affascinarono e suggestionarono artisti di altre epoche. nacque lì il progetto di comporre questi acquerelli sonori per ritrarre le immaginarie creature che abitano la verzura del giardino mediterraneo.
i Clogs hanno voluto al loro fianco colleghi ed amici: Shara Worden (My Brightest Diamond), Sufjan Stevens, Aaron Dessner e Matt Berninger (National) e la valente collaborazione dell’Osso String Quartet. ne è nato un album per dieci quadri da camera, clorifilliaco e aereo, placato e posato come la quiete della contemplazione vegetale. canzoni e partiture acustiche si alternano a voci e coralità di un tempo sospeso; si procede con passo lento e malinconico nella passeggiata meditabonda fra sonorità antiche e ancestralità remote. questo lavoro fu preceduto a gennaio da un ep dal titolo Veil Waltz che ne anticipava ambientazioni e traiettorie.
ritorno alla premessa: ho cercato (e meditato) di racchiudere l’emozione di questo ascolto perimetrando e riconoscendo precedenti evocazioni che hanno spalancato a questo lavoro dei Clogs le porte accessibili del mio stupore. dagli amati Penguin Café Orchestra di Simon Jeffes sono giunto per sentieri traversi alle antiche suggestioni dei Dead Can Dance che hanno aperto la visuale sulla contemplazione di The Draughtsman’s Contract (I Misteri del Giardino di Compton House), nell’accezione visuale del regista Peter Greenaway e ancor più nella puntuale colonna sonora di Michael Nyman che prese spunto dagli ostinati settecenteschi di Henry Purcell. a tutto questo si aggiunga la naturale attitudine bucolica di molta musica folk che, senza scomodare i santi, tesse un lungo percorso che potrebbe andare, più o meno, da Nick Drake all’altettanto amata Baby Dee. nel bel mezzo di questo giardino così determinato da miei confini conosciuti e dalle mie traiettorie passate non è difficile riconoscere queste creature del giardino di Lady Walton e addentrarsi serenamente verso ulteriori camminamenti.
Clogs The Creatures in the Garden of Lady Walton
Clogs Veil Waltz
lo sto effettivamente ascoltando da qualche tempo, ma ti confesso che non sta esattamente nella mia toplist. non so mi pare un po (troppo) eccessivo e considera che il chamber pop è il mio pane quotidiano. shara è fantastica come sempre, però! 🙂
lodevole e sincera ammissione di gusto e sensibilità personale, la tua. ci sta, eccome.
i diversi sentieri e le differenti circostanze ci portano, per fortuna, a percorsi diversi: di questo è fatto il mondo della musica e anche quello senza la musica.
sono soltanto i capolavori che ci fanno ritrovare invece tutti ad applaudire concordi e felici, ma questa è già un’altra storia.
a presto,
buone feste pagane
buone feste pagane anche a te! anche se il labor day con tutte le morti bianche nel nostro paese assume un certo valore di sacralità (la vita è qunto di più sacro esista). ma non volevo tediarti con questo, anzi volevo dirti che hai colto perfettamente nel segno. questione di sensibilità, perchè ad esempio invece io vado pazzo per jamie mcdermott e i suoi the irrepressibles che probabilmente tu e molti altri considerereste molto più eccessivi e baroocchi dei clogs. anche get well soon ha fatto un album, il suo seondo, decisamente cameristico e in certi pezzi è esageratamente eccessivo. dunque non saprei spiegarti perchè questo mi piaccia di meno. considera però che mi piace comunque. il pezzo sulla notte del gufo ad esempio è straordinario, ma quello sul coccodrillo invece mi interdice un poco. vabbè ho aggrovigliato la matassa invece di dipanarla. non farci caso. un caro saluto, comunque!
Questo disco era in attesa di ascolto, credo che ora darò un’accelerata alla playlist 😉
Grazie 🙂
vedi tu, con fare tutto italiano te lo raccomando e gli faccio fare qualche balzello in avanti nella graduatoria che immagino lunga e densa.
buone feste pagane (e per questo sacre) anche a te
Una buona occasione per riscoprire i Clogs.Grazie.
Ero rimasto a “Lantern” del 2006 che non era male….
Un applauso in particolare per il disco che hai scelto per il Panoptikum….
Ah, la Incus…:-)
Hai visto il programma di Angelica 2010?
il fatto che Lantern ti fosse piaciuto non fa altro che agevolare l’apprezzamento di questo, ma vedo che, come me, ti piace spingerti un poco oltre apprezzando l’incontro fra due musicisti pressoché unici (Bennink & Bailey).
e Angelica diventa per questo pane prelibato per bocche affamate: ho dato una rapida scorsa al programma e ho visto appuntamenti notevoli (Arto con un progetto nuovo e Giovanna Marini che bisognerebbe mandarla a Palazzo Chigi). maggio è mese complesso e indaffarato ma vedrò di intrufolarmi in qualche appuntamento, tempo e denaro permettendo.
Ah, mio giovane amico, che consolazione che sei per me immerso nei patemi dell’inconsapevolezza altrui. Giusto ricordare le gioie possibili, ciascuna di esse, in ciascun momento.
grazie per avermi appellato “giovane”, oramai non lo fa più nessuno.
deduco gradimento tuo che diventa mio, queste le gioie, queste quelle da ricordare.
a presto