dieci anni fa moriva Fela Kuti. dieci anni dalla scomparsa del Black President. mi rendo conto che in un giorno come questo vi sarebbero anniversari ben più amari e tristi da tenere a mente, ma la memoria del più grande musicista africano deve in qualche modo essere preservata. perchè malgrado il tempo passato stanno tardando a giungere le doverose rivalutazioni postume, le necessarie riscoperte e le celebrazioni. e penso questo soprattutto perchè mi accorgo che molti amici appassionati di musica e un poco più giovani di me sono completamente all’oscuro della vicenda artistica e umana di un grande africano, di un visionario rivoluzionario stroncato troppo giovane dall’H.I.V.
la sua biografia pare pensata da uno sceneggiatore e la sua immensa discografia partorita da un vulcano. in questo marasma di aneddoti e musica, di discorsi e politica è assai facile smarrirsi. è appena uscito un libro per StampaAlternativa che potrebbe aiutare nell’impresa di ritracciare le coordinate di una carriera lunghissima e densa. dall’infanzia in Nigeria verso l’Inghilterra e poi Los Angeles dove avvengono le prime registrazioni, le Black Panthers e i movimenti civili, l’uso della lingua inglese come grimaldello per raggiungere tutti i paesi d’Africa e l’Occidente soprastante, il ritorno a Lagos e la fondazione della Repubblica di Kalakuta e l’ostracismo dei poteri forti del suo paese. le idee politiche e l’impegno sociale, la mistica religiosa e le droghe, la visionarietà di uno dei più grandi ribelli d’Africa.
è davvero strano come oggi nomi quali Manu Dibango o Youssou ‘N Dour, Salif Keita, Miriam Makeba, Cheb Kaled o Cesaria Evora siano assai più noti in occidente di colui che probabilmente è per gli africani il più grande musicista di sempre. forse perchè deceduto poco prima dell’avvento delle grandi spettacolarizzazioni del baraccone musicale e della rete globale, forse perchè personaggio poco rassicurante e scomodo, dai contorni incerti e dalla dubbia moralità. ma ciò che resta è la sua musica.
l’afrobeat da lui pensato, suonato e voluto, un miscuglio incediario di jazz e funk, di poliritmie africane e musica yoruba, di high-life e percussione, una materia ancora oggi inesplorata e viva, incendiaria e dinamica come lo erano le parole lungimiranti che Fela declamava sulle lunghe suite o i suoi assolo di sax nell’ipnotico vortice che creavano le sue band. dai Koola Lobitos, agli Africa ’70 (con quel motore instancabile che era Tony Allen), fino agli Egypt ’80 degli ultimi tempi.
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questa la prima parte di un film documentario di Stephane Tchal-Gadjieff e Jean Jacques Flori sulla vicenda di Fela. per chi volesse ve ne sarebbe anche una seconda, e una terza (dall’inizio curioso) e una quarta e una quinta e un finale.
“Something tell me I’m right! So I will be the President one day, don’t worry! Music is the weapon!”
Fela Anikulapo Kuti (1938-1997)
Mai sopportata la sua musica, lo ammetto con tutta la vergogna del caso: mi rende nervoso. Ma piace ricordarlo per il fatto di aver sposato (in un’unica cerimonia, va da sé, sennò dov’è il divertimento?) tutte le sue coriste. Credo fossero una trentina. Per poi divorziare (da tutte, in una sola volta) qualche anno dopo. Perché? “Beh, è maschilista”. Un grande.
ho volutamete tralasciato tutta una serie di anedotti riguardanti il nostro perchè rischiavo di scadere nella rubrica più bassa dei giornali scandalistici, ma Fela ne ha combinate parecchie, non ultima quella citata da Hank…
lo so che la sua musica è difficile e pure ostica, ma penso vada pensata e compresa all’interno della sua vicenda tutta, quegli anni ’70 e dell’Africa vista e contestualizzata nell’ambito dei suoi problemi e della sua emancipazione irrisolta!
Mai sopportata la sua musica… resta un’affermazione forte, ma ti ho già visto fare salti mortali impensabili e prima o poi ti attendo col naso all’insù per vederti volteggiare ancora! so che sei abbastanza intelligente per farlo!
Hai ovviamente ragione: ogni cosa ha il suo tempo, e ci sono cose che è financo criminoso non essere in grado di apprezzare.
(Il che riecheggia una frase sublime di Andy Partridge, che cito a memoria e dunque sgangheratamente: “There are things that look better hung upside down. Mussolini being one of them”).
rispetto e rappresentanza.
Non male quell’Andy Partridge…
Ogni cosa ha il suo tempo finchè il tempo non avrà ogni cosa….
Kekko in rappresentanza con le mostrine e l’ammiraglia….respect!
non so se questo africano mi avrà mai, ma billie holiday oggi mi sta lasciando di stucco. faccio finta che fuori piova ancora, leggo John Fante e la ascolto…
“molti amici appassionati di musica e un poco più giovani di me sono completamente all’oscuro della vicenda artistica e umana di un grande africano”
Dici a me? Con chi stai parlando allora? Ce l’hai con me?
Ci sono solo io, qui. Con chi cazzo ti credi di parlare?
Quando fu sera, Gesù si mise a tavola insieme con i dodici discepoli. Mentre stavano mangiando disse:
– Io vi assicuro che uno di voi mi tradirà.
Essi diventarono molto tristi e, a uno a uno, cominciarono a domandargli:
– Signore, sono forse io?
Gesù rispose:
– Quello che ha messo con me la mano nel piatto, è lui che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo sta per morire, così come è scritto nella Bibbia. Ma guai a colui per mezzo del quale il Figlio dell’uomo è tradito. Per lui sarebbe stato meglio di non essere mai nato!
Allora Giuda, il traditore, domandò:
– Maestro, sono forse io?
Gesù gli rispose:
– Tu l’hai detto.
(op.abbastanz.parecch.cit.)
mi inchino all’ inopp cit.!
anch’io uso spesso l’ultima frase, forse traducendo male dall’aramaico: tu lo dici!
non sempre la gente pare coglierla, però. 🙂
tu traduci l’aramaico?