fra i tanti vezzi (e vizi) del porcile di fine impero in cui stiamo vivendo (qui) vi è quello perdurante di additare i cugini d’oltralpe di sciovinismo e di oltranzoso campanile. ed è un poco come la parabola di quel tale che vedeva la pagliuzza nell’occhio altrui senza accorgersi della trave che imperversava su di lui; il problema è che quella trave minaccia noi italiani, ma non nell’occhio!
ebbene, non sarò io a mettermi a difendere i francesi (lo sanno fare benissimo da soli), ma un plauso debbo spenderlo in onore della loro capacità di santificare laicamente i loro orgogli nazionali senza cadere nelle trappole retoriche della politica e degli interessi di parte. sì perché innalzare Georges Brassens a gloria nazionale potrebbe sembrare la più clamorosa contraddizione in termini in cui si possa incappare: lui che ha sempre sculacciato i potenti, lui che se ne è infischiato della morale e della religione, lui che ha fustigato il buon senso, proprio lui riceve quest’anno (nel trentennale della sua scomparsa) le glorie panteoniane di una nazione che sa riconoscere la grandezza statuaria del padre di tutti i cantautori.
era il 1952 quando si esibì per la prima volta in pubblico (il suo primo disco è dell’anno successivo) e al tempo i cantautori (così come li conosciamo oggi) erano ancora in fasce. la sua coerente carriera ha così attraversato placidamente il cuore del secolo scorso fino ad assurgere dignitosamente allo status di classico. qualunque cosa significhi questo termine si può star certi che Brassens lo significhi: nella sua capacità di essere immortale, ineluttabile, inattaccabile e immenso.
i francesi si sono quindi fatti trovare pronti a celebrare la più impuria delle loro glorie e lo hanno fatto, fra le altre cose, con una esposizione parigina alla Cité de la Musique (non potendo raggiungerla qualcuno che conosce le mie debolezze mi ha fatto dono del volume curato da Joann Sfar) e con l’immancabile cofanetto celebrativo con la discografia ufficiale nell’edizione (appunto) del trentennale.
ma ripensando appunto all’inafferrabilità del grande chansonnier francese mi sono divertito a ripercorrere i diversi tentativi di omaggiare il canzoniere immenso del poeta di Sète. l’Italia deve senza dubbio a Fabrizio De Andrè e a Nanni Svampa la conoscenza di Brassens, anche se i due dischi di Beppe Chierici restano una delizia ed un omaggio divertente. ma sono i francesi che già dieci anni addietro (nel ventennale) tentarono la prima rilettura in chiave “moderna” dell’antenato celebre: Les Oiseaux de passage uscì nel 2001 e annoverava fra i tanti i nomi quelli di Yann Tiersen, Miossec, Arthur H e dei tristemente noti Noir Désir; una nuova generazione ossequiava uno dei maestri nazionali!
più coraggioso (ed anche più divertente) il progetto del 2007 di Kristo Numpuby che tentò di traghettare Brassens laddove lui non avrebbe mai immaginato giungere: in Africa. l’idea venne al camerunense Denis Tchangou che pensò possibile portare le ballate “quadrate” dentro le poliritmie sfuggenti africane. l’ascolto è quantomeno divertente, lo ripeto, e pure curioso.
e se Brassens è giunto suo malgrado in Africa non credo vi sia continente in grado di arginare la conquista inarrestabile e involontaria dei cuori rapiti dal senso e dalle melodie delle sue canzoni. Brassens, Echos Du Monde racconta di questo innamoramento: dal Giappone a Cuba passando dal Sud Africa diretti in Russia, da Nina Simone a Sidney Bechet. per chi conosce a menadito il canzoniere di Brassens (alzo la mano) non vi è dubbio che questo disco contenga strambe e succulente sorprese.
ma se proprio si volesse individuare un progetto sensato ed intelligente ecco allora che non esiterei ad additare il chitarrista francese (di origini gitane) Christian Escoudé ed il suo progetto Christian Escoudé joue Brassens Au Bois de mon Cœur. perché il jazz, ed in particolar modo quello manouche, è sempre stata la forte tentazione e l’attrattiva che più volte ha attraversato la carriera di Brassens (vivente). il disco è rispettoso, educato ed ossequioso: è un disco che può reggere da solo senza bisogno di paragoni, capace di camminare con le sue gambe: e questo avrebbe di certo soddisfatto l’anima anarchica del patriarca.
ma nessuno di questi dischi potrà scalfire lo statuto di classico che ancora una volta i francesi, celebrandolo, attribuiscono a Brassens ed alle sue canzoni. e se è vero (ed è vero) tutto ciò che Italo Calvino pensava dei classici, allora è pur sempre meglio ritornare all’origine delle cose e riascoltare ancora una volta (ed una di più) le due centinaia abbondanti di canzoni che Brassens parsimoniosamente ci ha lasciato in eredità. ed è per questo che sull’altra sponda di questo blog (leggi uabab) mi impegno da oggi a pubblicare (con la dovuta calma) la discografia di uno degli artisti di cui continuo instancabilmente a sentire la mancanza e la fragorosa presenza.
à votre santé, Monsieur Brassens!
Chierici canta Brassens
Beppe Chierici Storie di Gente Per Male
Les Oiseau De Passage
Kristo Numpuby Brassens En Afrique
Brassens Echos Du Monde
Christian Escoudé Au Bois De Mon Coeur
“Le parapluie” è la mia canzone. Di quella brevissima Parigi che ho vissuto.
Ti dirò che la versione di Yann Tiersen nell’album da te sopra citato è davvero bella, ma non capisco di chi sìa la voce femminile (sembra Carla Bruni).
ti rassicuro (oppure ti deludo?) sul fatto che la voce femminile non è quella di Carla Bruni ma bensì quella dell’attrice belga Natacha Régnier.
in più aggiungo con una piacevole coincidenza che anche per me Le Parapluie fu la prima canzone udita dalla voce di Brassens. era su una vecchia cassetta c90 in mezzo a Brel, Gainsbourg ed altri francesi che ora più non ricordo. così come non ricordo chi me la donò o a chi la rubai.
poco importa oramai: Cupido aveva già fatto il suo sporco lavoro!
carla bruni non l’ho proprio digerita, mi spiace sempre vederla citata nel tuo blog, come sentire la cover di little wing dove non mi aspetto. le prendo sempre come lezioni per non diventare “Prete”
Come sempre, un gran lavoro!
Visto che navighiamo nei mari francesi, hai la possibilità di reperire Bobino 70 di Georges Mustaki?
Ritengo sia un live di una bellezza commovente!
annoto diligentemente Moustaki nel taccuino dei desiderata: con un poco di pazienza ascolteremo quest’altro caro “anarchico” francese.
a presto
grazie per ricordare un monumento sempre vivente!
grazie a te della visita. e condivido totalmente le tue parole.