la prima volta che vidi Han Bennink suonare dal vivo non potei non pensare a Jacques Tati: la più che vaga somiglianza fisica, l’incedere allampanato e l’innata capacità di suscitare il sorriso infantile ai propri simili mi fecero immediatamente chiudere uno di quei circuiti mentali virtuosi con i quali mi trastullo e mi diverto.
l’anima guascona da guitto Han Bennink l’ha sempre avuta e ancora di più la mostrava allora (quando lo vidi) in compagnia di Michael Moore e Ernst Reijseger in quel meravigioso incontro di folli che fu il Clusone Trio. i più cattivi detrattori mi raccontano che il batterista olandese è oramai costretto a recitare la parte di sé stesso e di andare in scena per fare il buffone: ma io non gli credo e a conferma di tutto questo vi sono le meravigliose esperienze con The Ex e i frequenti viaggi (concerti, dischi, esibizioni) in terra Etiope, nonchè il suo nome che spunta fuori al fianco di grandi musicisti in lungo ed in largo per questa terra d’Europa.
e allora è bene seguirlo anche ora che si è messo in testa di pilotare un trio a suo nome chiamando a sé gli stessi musicisti con cui tre anni fa registrò per la danese Ilk Music il disco Parken: Simon Toldam al pianoforte e Joachim Badenhorst ai sax e clarinetto. Bennink si siede e si scompone dietro la sua batteria che oramai sembra sempre più uno di quei giocattoli fatti solo di rullante e cassa e niente di più: in questo nuovo disco non vi è neppure l’eco di un piatto percosso!
il trio così prende la ragione sociale dell’olandese sfavillante ed il disco il titolo della società per azioni swinganti. Han Bennink Trio Bennink & Co. (Ink Music, 2012) ha così l’imprinting ritmico e visionario del batterista che pare guidare i due assai più giovani di lui ben all’interno di quella camera zeppa di giocattoli ritmici che è la sconfinata arte percussiva di Bennink. i tre cofirmano tutti i brani e si concedono uno standard a nome Billy Strayhorn (A Flower Is a Lovesome Thing). un costante ritmo da locomotiva alimentata a tabacco da pipa sembra trasportare avanti e indietro i due giovani musicisti, dallo swing all’improvvisazione, dalle marchin’ band ad un buon concettualismo da interno. non mancano gli urletti onomatopeici che hanno reso celebre Bennink, i mugugni, i cenni di assenso e quel gramelot che assomiglia ancora una volta alla perizia acustica con cui Tati sonorizzava le sue scene. i tre paiono suonare a memoria mettendosi in fila dietro al burattinaio, gli scarti sono improvvisi e divertenti, i salti arditi; se proprio debbo esprimere una critica rimpiango un poco l’inesauribile vena melodica che alimentava il Clusone Trio, ma quello era un trio e questo è già altro. in mezzo ad unire il tutto Han Bennink ancora sorridente come un bimbo e indiavolato sopra il suo rullante. è lui a disegnare la copertina, è lui a fischiettare sopra l’unico solo di batteria (Postlude to Kiefer and a Piece of Drum) ed è lui a suscitare ancora una volta uno di quei sorrisi che allargano le nostre coscienze sacrificate.
buon ascolto
Han Bennink Trio Bennink & Co.
ottimo, proprio quello che ci vuole per rimediare a questo piovossimo venerdi….
…ennesimo grazie.