penso davvero sia il caso che a principiare ogni mio discorso o qualsivoglia disquisizione sia la stessa voce di Josephine Foster. quella voce a dare il suo personale benvenuto nel giardino delle delizie terrene, per accompagnare la lettura e per fugare ogni dubbio sul fatto che io possa vaneggiare riguardo all’epifania di questo nuovo disco…
Josephine Foster – The Garden Of Earthly Delights
This Coming Gladness per l’etichetta inglese Bo’ Weavil è (forse) il suo terzo lavoro. diverse quantità di cd-r confondono le acque e sinceramente poco importa una nomenclatura cronologica. credo sia bastante attenersi a quest’oggi e a questo disco. Josephine Foster lo ha inciso in Spagna e si è fatta accompagnare da amici e sodali: Victor Herrero, Alex Nielson, Alasdair Roberts, Jandek (Jandek???) e Richard Youngs. tutti al fedele servizio della visionarietà di una cantautrice di cui vorrei il mondo non si accorgesse mai. è un malsano sentimento di esclusività che mi prende e mi attanaglia quasi come volessi immaginare che questa decina di canzoni fosse privilegio esclusivo di chi ascolta, o di me solo che resto incantato di fronte a tanto.
leggo su carta stampata e in rete tentativi di imbrigliare in qualche modo l’arte di questa fanciulla del Colorado, similitudini, affinità e rocambolesche sintassi. apprezzo lo sforzo e mi complimento (e a quelli rimando), io non mi sento in grado di descrivere e mi limito a suggerire (assolutamente) di approssimarsi lesti all’ascolto.
forse proprio oggi che il grande gregge degli ascoltatori alternativi sta abbandonando le dolci colline del folk (alt/revival/weird) per approdare ad un altrove attualmente ignoto, sul lato meno assolato dell’altura resta solamente chi questi sentieri ha sempre percorso, chi vi è nato e probabilmente vi resterà a lungo. in quel luogo e in quel tempo può nascere un disco come questo.
la bella giuseppina credo sieda isolata e soddisfatta sul trono delle principesse del folk alternativo. è una mia personale opinione. saltuariamente cede lo scranno a Joanna Newsom, ma è un gioco a due, come fra sorelle. con la benedizione di Joni Mitchell (ma davvero quella copertina non ha niente a che fare con lei?).
ora, se non fosse bastato a convincere, dovrei tirare fuori eclatanti affermazioni come “disco dell’anno” o “pietra miliare”. non lo farò e forse l’ho già fatto! poco importa, il disco è dove volete oppure a portata di mano e l’unico consiglio che mi sento di dare e di innamorarsene…io l’ho già fatto!
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Condivido la tua recensione e in particolare questa frase:
…..tutti al fedele servizio della visionarietà di una cantautrice di cui vorrei il mondo non si accorgesse mai……
Ho scoperto da poco questo blog e ti faccio i miei complimenti per quello che scrivi e proponi.Davvero molto interessante.
Mi piacerebbe saper cosa pensi di Helena Espvall & Masaki Batoh che ho visto qui di fianco….Lo sto ascoltando anche io in questi giorni.
Ciao
Unclemeat
il mio ascolto per il momento si è fermato
a Puebla/Martinez
“un brujo en guana bacoa” sono sicuro che
è stata inserita in qualche colonna sonora di
un film…ma non riesco a ricordare quale!
..attendo rapid per il resto
grazie della visita Unclemeat,
che dire del disco di Espvall & Batoh? trovo la loro attitudine folk un poco artefatta e ancor di più se nello stesso periodo ascolto il disco di Josephine Foster. io non vorrei fare paragoni e difenderò (per quanto possibile) il de gustibus, ma i termini si contrappongono all’uopo per chiarire una differenza sostanziale.
penso che il talento e la “sincera” passione della Foster non le potrebbero consentire di fare altro che folk (aggiungere a piacere qualsivoglia aggettivo). in quel brodo primordiale è nata e cresciuta e in qualche modo quello è il suo destino. quell’altro duo a volte pare giunga a questa sublime espressione musicale un poco forzatamente, tingendo le trame con qualcosa (lo si chiami come si vuole) che imbastardisce e impoverisce l’essenza.
fatico a spiegarmi e non è semplice…
ieri sera un amico (parlando di tutt’altra questione) mi illuminava in questo modo:
“…è un po’ come correre dietro ad un autobus o guidarlo! c’è una bella differenza!”
magari non c’entra molto, ma aiuta…
o se vuoi ti dico che il disco della Hespvall passerà (e anche piuttosto in fretta) mentre l’altro ce lo troveremo fra i piedi ancora per molto, io credo!
sai hrudi che non posso aiutarti!
nel senso che non ricordo colonne sonore con Puebla!
ma ogni film su quella Cuba dei ’50 credo non possa prescindere da quella musica che ne fu colonna sonora!
e dunque…
ascoltando quella voce dal vivo rimasi esterrefatto. sembrava essere stereofonica e provenire non solo dalla sua ugola ma da tutto il suo corpo e da vari punti attorno a quell’aura magica che l’avvolgeva mentre cantava. percezione uditiva davvero bizzarra e straordinaria. era il 24 febbraio dello scorso anno e lo ricordo bene, perchè quella stessa sera, in quello stesso posto, conobbi la persona che mi avrebbe cambiato la vita…
Ecco, adesso piango…
…non piangete, dai!
non sapevo di cotanta ricorrenza e soprattutto mi stupisco di tanto ardire.
ma bravi!
la prossima volta che usate il mio blog per i vostri T.V.T.B. vi scancello!
…certe melensaggini andate a farle nei vostri blog!!!!
si scherzava, eh!
Cinico:)
E comunque giuseppina merita solo inchini. Nella mia classica la Joanna arriva sempre a qualche minuto. A volte pochi, a volte molti(penso dipenda dal peso dell’arpa)
ecco l’altro cinico 😉
Concordo su molte cose, trovo la ricerca di Josephine Foster sempre originale e bizzarra. La sua voce demodée e straniante sa passare da un genere all’altro con eleganza ma sempre lasciandoti una certa sensazione di disagio, come se a qualcuno venisse in mente di comporre armoniose melodie graffiando la lavagna con un mazzo di chiavi. Quali generi affronti non è ben chiaro, bisogna sempre inventarsi bizzarri giri di parole: folk-psichedelico per il primo album “All the Leaves are gone”, filastrocca alternative per il secondo “Hazel Eyes, I Will Lead You”, gothic Lied per il penultimo “A Wolf in Sheep’s Clothing”. Definizioni artefatte per accontentare i patiti delle etichettature. Devo ancora capire le particolarità di questo ultimo album, l’ho ascoltato poche volte e ogni volta cambio le mie impressioni. Mi pare che abbia preso ispirazione dal sottobosco jazz e blues, talvolta da arie ottocentesche. Come se un’elegante signora di un quadro impressionista o talvolta una gentil pulzella preraffaellite iniziassero a cantare Ella Fitzgerald o Dinah Washington. Salterei dalla gioia se potessi vederla dal vivo, una volta.