colgo l’occasione di una recente uscita discografica per riallacciare il discorso con un lavoro risalente a tre anni addietro (e di questi tempi pare un secolo ma non lo è): medesimo l’autore, medesima l’etichetta e per certi versi medesima pure l’idea primigenia. Partenza: direzione Bulgaria. è lì che risiede Nikola Gruev meglio noto artisticamente con il nome di Kottarashky: appassionato dj, produttore e giramonopole smanettanti nonché collezionista di registrazioni viniliche di carattere antico ed etnomusicologico provenienti dalla sua nazione. e furono proprio queste ultime a rappresentare la peculiarità del suo debutto per la tedesca Asphalt Tango Records da sempre attenta a tutto ciò che accade sulla sponda orientale del Danubio.
Opa Hey! (Asphalt Tango, 2009) è una squisita delizia elettrobalcanica costruita a tavolino assemblando le voci di antichi crooner bulgari con i loop narcotici di fanfare e ballate balcaniche. uno di quei dischi ipnotici da ascoltare a ripetizione senza soluzione di continuità: è garantita la sensazione di viaggio, lo stordimento apparentemente alcoolico e persino una blanda sensazione di sfuggire al tempo indeterminato di questo lavoro.
il disco non sfuggì ai più attenti e pare che a Sofia l’operazione di Kottarashky sia divenuta persino di moda creando emuli e un rinnovamento culturale e cosciente; naturalmente assai richiesta la presenza live del nostro Nikola Gruev che si presentava nei locali armato di laptop e poco altro. ora non so sino a che punto questa povertà di mezzi lo abbia convinto a cambiare un poco le cose, fatto sta che da quel 2009 ad oggi Kottarashky a ben pensato di assemblare una band per accompagnare dal vivo (e per davvero) i suoi lacerti vocali rubacchiati da preziosi 78 giri recuperati nell’amata terra bulgara.
ed è così che si è giunti a Demoni, titolo dell’ultimo lavoro sempre per Asphalt Tango (2012) a nome di Kottarashky & The Rain Dogs (e questo nome non mi è nuovo!). Aleksandar Dobrev al clarinetto, Hristo Hadzhiganchev chitarra e sintetizzatore, Yordan Geshakov al basso e Atanas Popov alla batteria fungono da supporto sonoro (in carne, elettricità, corde, pelli ed ossa) alle voci ripescate da Kottaraashky. il lavoro svolto perde un poco di quella freschezza del debutto a causa di un’idea musicale completamente al servizio di questi vocalist fantasmi (solo in un paio di brani compare Tui Mamaki alla voce a tentare di sostenere l’operazione): il disco è gradevole e scivola amabilmente fra un proto dub balcanico e ritmi più latini che ottomani. quel nome Rain Dogs tradisce alcune ascendenze e inclinazioni e pare un poco strano pensare a musicisti balcanici che si rifanno a musicisti americani (Marc Ribot per non fare nomi) che hanno immaginato un suono balcanico pensandolo dall’altra parte dell’atlantico: un bel corto circuito virtuoso.
credo che traspaia dalle parole fin qui scritte che preferisco il debutto a quest’ultima prova ma non vorrei gettare dalla torre nessuno dei due lavori, salverei piuttosto energie e tempo per tentare di raggiungere prima o poi Sofia antica meta sognata che mi ritrovo a surrogare con l’ascolto di questi dischi.
Kottarashky Opa Hey!
Kottarashky & The Rain Dogs Demoni
amico mio, ogni tanto ci si incontra, per caso o per volontà. al momento sto vivendo e lavorando proprio a sofia e, a quanto pare, rimarrò nei balcani ancora per un pezzo.
altri preziosi suggerimenti saranno ben accetti.
e vienimi a trovare.