così, in uno dei giorni più bollenti di luglio, io e alice decidiamo di risalire al contrario la piana padana contro la mano dei vacanzieri che discendono come fiumane verso la riviera. dobbiamo raggiungere Reggio Emilia e più precisamente la Collezione Maramotti per poter rimirare in cellulosa fotografica alcuni scatti raccolti nella mostra La vie en rose.
entrare alla Collezione assomiglia più ad una convocazione per un consiglio di amministrazione fra giardini lussureggianti, cancelli automatici e portinerie di affettata cortesia: per ora l’unica cosa che assomiglia all’aria subsahriana è un vento caldo di scirocco che asciuga la saliva e insabbia alcune porsche parcheggiate. l’aria condizionata settata sui 10 gradi centrigadi fa svanire l’unico barlume africano, ma siamo dentro la collezione.
Malick Sidibé non è certo dentro il suo studio artificiosamente ricostruito dentro l’esposizione, ma mi sarebbe piaciuto sentir risuonare la sua risata all’inaugurazione della mostra alla quale è stato invitato, e vedere il suo bubu fra i tacchi a spillo e i misto lana incravattati. 50 scatti (meravigliosi) sono un granello di sabbia nel deserto che non consentono neppure quel lento processo che si innesca in ogni esposizione che si rispetti: una soave immersione in un mondo altro che disconoscevamo pochi istanti prima.
tutto così veloce che provi a fare un secondo giro dentro la grande stanza della mostra ma l’effetto primissima impressione è, ahimè, già svanito. resta l’afrore di un’allegria danzante di un tempo selvaticamente vergine dentro un continente verginalmente selvatico e splendido, e quei pochi scatti sono lì a testimoniarlo.
così decido di carpire un souvenir ma il catalogo della mostra sfoggia un formato anomalo per contenere e rimirare fotografie che meriterebbero aria, spazio e tempo. rimuncio. uscendo ritorno ad un algido televisore all’ingresso che avevo visto trasmettere fotografie e interviste di Malick Sidibé. mi accorgo, in un silenzio dirigenziale interrotto da proposte manageriali che provengono dagli uffici contigui, che si tratta di un vero e proprio documentario sottotitolato in inglese e mi fiondo a chiedere delucidazioni alla reception della collezione.
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e in effetti si sa che non tutti i Mali vengono per…
esco dal gelo condizionato della collezione con un pizzino in tasca su cui ho annotato gli estremi di quel documentario: Dolce Vita Africana. a tarda notte, raggiunta la rete casalinga mi precipito a scoprirne oltre: documentario-film televisivo andato in onda sulla BBC Four in data 4 marzo 2008 per il programma Storyville. la rete solidale tace e non consente nè la visione e neppure l’acquisto.
il mattino seguente mi rituffo dentro e, a seguito di alcuni scambi cornucopio/epistolari con Maurizio Ribichini, instillo la pulce pure nel suo orecchio: lui più cocciuto e caparbio di me e con ancora qualche granello di sabbia maliana in qualche tasca dimenticata, mi telefona nel meriggio gongolando come un griot.
mi lascia scivolare nella buchetta elettronica un link e se ne parte per le sue vacanze estive, sorridente lui, e pure io. a me non resta quindi che rigirare il favore a coloro che vorranno vederne, saperne, e ridere un poco oltre.
sfugge a me il motivo per cui da questa sponda del primo mondo (se è vero che quello è chiamato terzo) si debbano occidentalizzare a tutti costi fenomeni sociali dei quali, in fondo, ci sfuggono ragioni e motivi profondi: così una mostra diventa La vie en rose e un buon documentario Dolce Vita Africana: mah!
probabilmente sfugge dalle mostre e dai documentari pure Malick Sidibé e quello stesso mondo che ha provato a catturare nel suo divenire, ma la sua risata e il mondo che oggi lo circonda fuori dal suo studio a Bamako valgono sessanta minuti del nostro tempo occidentale.
buona visione.
Grande mostra, grande film, grande artista.
Qui troverete un ulteriore assaggio …
http://www.tpafrica.it/2008/07/malik-sidibe-bamako-60.html
Ancora legato a quel granello di sabbia
sorvolo e sorrido
grande Borg