sarei tentato di principiare questo post con un indovinello se non fosse che in premio non c’è praticamente nulla ed in più la risposta è scritta proprio qui sopra: ma lo formulo ad ogni modo. qual’è oggi (2013 a.d.) il minimo/massimo comune denominatore in grado di portare a collaborare nello stesso disco artisti come Ornette Coleman, Marc Ribot, Medeski Martin & Wood, John Zorn, Shahzad Ismaily, Lee Ranaldo, Flea e Bill Laswell (per citare solo i più celeberrimi)?
Master Musicians of Jajouka è la risposta, ed è la medesima risposta da quasi settant’anni, ossia da quando la cultura occidentale più deviata fuggì dai propri incubi malsani e drogati alla ricerca di un’intonsa verginità ancestrale che comprovasse che i propri deliri avevano radici assai più lontane della sera prima. Timothy Leary, Brion Gysin, Paul Bowles, William S. Burroughs e buona parte della Beat Generation assieme a Brian Jones ed Ornette Coleman sono lì a testimoniarlo. the 4000 year old rock ‘n’ roll band è la celebre citazione di William S. Burroughs ma è forse più semplice raccontare che siamo di fronte ad una tradizione secolare di musica Sufi in stretto connubio con la trance mistico religiosa; musica radicata da generazioni nel villaggio da cui prendono il nome i mastri musicanti in prossimità dell’area tribale di Ahl Srif sul versante sud della catena montuosa del Rif nella parte nord del Marocco.
ance, pipe, percussioni che loro chiamano più appropriatamente lira (un tipo di flauto), rhaita (assimilabile ad un oboe occidentale), tebel (una percussione manufatta con pelli di capra) e tarija (simile alla precedente ma con propensione al virtuosismo ritmico) sono gli strumenti per creare questa musica mistica, sufica e in largo modo improvvisata a creare quella trance che incantò (e continua ad incantare) la comunità occidentale più visionaria. il celebre disco di Brian Jones e successivamente quello di Ornette Coleman sono ancora lì a testimoniarlo. ed è proprio dal quarantennale di quel disco con lo Stones più sfortunato che annualmente si tiene un festival nel villaggio di Jajouka per perseverare la tradizione: Bachir Attar ha da tempo preso le redini di questo gruppo (tutto in questo sito dettagliatissimo) e dato vita ad una fondazione a sostegno della continuità della tradizione e del sostentamento della comunità tutta.
ed è proprio a sostegno di questa fondazione che si rivolge la compilazione di questo disco pensato da Billy Martin in collaborazione con Bachir Attar legati vicendevolmente da una solida amicizia. riprendere alcuni brani dei Master Musicians of Jajouka per remixarli, sovrainciderli e risuonarli assieme all’eccellenza dei musicisti più visionari occidentali, a loro volta fans (debitori, ascoltatori o semplici fedeli) del collettivo marocchino.
The Road To Jajouka A Benefit Album (Howe Records, 2013) vede così la luce per l’etichetta di Howard Shore (anch’esso presente nel disco) ed inanella 9 brani ripensati, risuonati e restituiti attraverso un suono quartomondista che prende le mosse dalla trance sufica per raggiungere le visioni più avant di questo occidente. ritmi, battiti, percussività, elettrica pulsazione ad innervare le trame ipnotiche della musica dei mastri di Jajouka: si perdono piacevolmente le coordinate spaziali, siamo in un futuribile legato indissolubilmente alle tradizioni della catena montuosa marocchina. e a compiere questo viaggio sono i musicisti sopra citati che non necessitano ulteriori presentazioni.
una presentazione invece l’aggiunge Jim Jarmusch (mancava solo lui) ad introdurre ancora meglio quanto più sopra descritto. il disco si diceva è benefico: io ho donato il mio piccolo obolo acquistandolo e per chi volesse contribuire è a disposizione il sito della fondazione. l’indovinello non nascondeva invero difficoltà e forse per questo che l’unico premio che posso offrire è la possibilità di udire questa meraviglia, poi chi vorrà contribuire lo farà in coscienza.
buon ascolto
Master Musicians of Jajouka The Road To Jajouka: A Benefit Album
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