la radio uabab #239

Radio Sonora
la radio uabab #239
lunedì 18 novembre 2019 ore 9,15
(replica: martedì 19 novembre ore 21,00)
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Blues

Yatta
Wahala (PTP, 2019)
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Wet

Perila
Irer Dent (sferic, 2019)
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Shirley to Shirley

Félicia Atkinson
The Flower And The Vessel (Shelter Press, 2019)
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Eternity

Soundwalk Collective with Patty Smith
Mummer Love (Bella Union, 2019)
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Moon in the Water

Laurie Anderson | Tenzin Choegyal | Jesse Paris Smith
Songs from the Bardo (Smithsonian Folkways Recordings, 2019)
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la radio uabab #238

Radio Sonora
la radio uabab #238
lunedì 18 novembre 2019 ore 9,15
(replica: martedì 19 novembre ore 21,00)
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The Myth Hold Weight

Moor Mother
Analog Fluids Of Sonic Black Holes (Don Giovanni Records, 2019)
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In the Fold

Matana Roberts
Coin Coin Chapter Four: Memphis (Constellation Records, 2019)
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I Trap You

Kate Tempest
The Book Of Traps And Lessons (American Recordings, 2019)
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Domyat 1331

Land Of Kush
Sand Enigma (Constellation, 2019)
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They Done Left You

Ben LaMar Gay
East of the Ryan (International Anthem, 2019)
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la radio uabab #237

Radio Sonora
la radio uabab #237
lunedì 11 novembre 2019 ore 9,15
(replica: martedì 12 novembre ore 21,00)
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We Are Almost There

Klein
Lifetime (ijn inc., 2019)
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Feel It Steal It

People Like Us
The Mirror (Discrepant, 2019)
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Discernment

Negativland
True False (Seeland, 2019)
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Badass Bullshit Benjamin Buttons Butthole Assassin

Blarf
Cease & Desist (Blarf-a-Lot Records/Stones Throw, 2019)
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Baroo

Carl Stone
Baroo (Unseen Worlds, 2019)
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la radio uabab #236
Jaimie Branch FLY or DIE II: bird dogs of paradise

Radio Sonora
la radio uabab #236
Jaimie Branch FLY or DIE II: bird dogs of paradise
lunedì 4 novembre 2019 ore 9,15
(replica: martedì 5 novembre ore 21,00)
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presentazione del disco e anteprima del live di domenica 17 novembre (ore 18,00)
presso Area Sismica
brani in ascolto

birds of paradise
prayer for amerikkka pt 1 & 2
simple silver surfer
nuevo roquero estéreo
love song

Jaimie Branch FLY or DIE II: bird dogs of paradise

Pubblicato in 2019, Ao Vivo, la radio uabab, la radio uabab 2019/2020 | 1 commento

Jaimie Branch
FLY or DIE II: bird dogs of paradise

Credo sia ancora bello attendere dischi, attenderne l’uscita, la pubblicazione, la rivelazione. In un tempo in cui il music business parcellizza e riduce (divide ed impera), mentre le nostre soglie d’attenzione sono assediate ed oberate da impulsi pressoché inutili, un disco atteso è un’isola di salvezza in cui preparare la resistenza contro un nemico invincibile. E un disco da attendere io l’avevo, e sono lieto che sia giunto!
Sì, perché quando nel 2017 giunse il debutto come leader della trombettista Jaimie Branch non pochi si accorsero di una nuova voce impellente che si palesava maldestra nell’universo del jazz contemporaneo. Fly or Die (International Anthem, 2017) giungeva nel luogo giusto al momento giusto: Chicago è stata e continua ad essere una città fondamentale per la storia del jazz e delle avanguardie che hanno innervato di nuova linfa questa musica, e, proprio a Chicago nel 2014, viene fondata l’etichetta International Anthem che accoglie a braccia aperte la musicista condividendo (anche) con lei l’intento di “cambiare e ridefinire lo stato del music business e superare i confini di genere per creare un suono per un pubblico non compromesso”.

photo by peter ganushkin

Jaimie Branch nasce a Brooklyn nel 1983, inizia a suonare la tromba ad 8 anni e a 14 si trasferisce con la famiglia nei sobborghi di Chicago. Si diploma al conservatorio nel 2005 ed inizia una carriera come musicista, produttrice, organizzatrice ed ingegnere del suono, nonché barista e cameriera, nella fervida e ribollente scena cittadina. Nel 2012 si sposta a Baltimora per ottenere un master universitario nella performance jazz, fonda un’etichetta e divide la sua arte fra jazz, hip-hop e impellenze punk-rock. Ritorna a NY ed inizia a dividere il palco con molti musicisti coetanei della scena avant jazz. Per sbarcare il lunario continua a lavorare in un café, a non trascurare i vizi e a non preoccuparsi di avere una fedina penale legalmente immacolata.

Poi avviene lo scarto che sposta gli equilibri e illumina la strada: immediatamente dopo la pubblicazione del suo primo disco come solista Jaimie Branch decide di pensarsi definitivamente musicista e di farlo 24/7 (Once you’re able to throw yourself fully into your art, it really takes a different shape! parole sue). Inizia un lungo tour promozionale per presentare il disco assieme a Lester St. Louis al violoncello (che prende il posto di Tomeka Reid, presente nel disco ma rapita da impegni come band leader e dal prestigioso coinvolgimento nell’Art Ensemble of Chicago), Jason Ajemian al contrabbasso e l’immenso Chad Taylor alla batteria. Le date si susseguono, la cassa di risonanza rimbomba assieme al passaparola che aggiunge ascoltatori e fans ai loro live, l’interplay fra i musicisti fiorisce e sboccia rigoglioso e la forzata convivenza in tour consolida, nei migliori casi, il sodalizio fra affinità umane e musicali. E così la band si trova a Londra sul calare dell’estate 2018 e decide di soggiornarvi per l’inizio dell’autunno per entrare in uno studio di registrazione e fotografare ed imprimere su disco lo stato di grazia della band. Vengono registrati nuovi brani, estrapolati momenti live da un paio di date al Café Oto ed è già ora di tornare a Chicago dove il disco viene editato, aggiungendo alcuni overdubs (alla maniera del compagno di etichetta Makaya McCraven), mixato e definitivamente masterizzato. La testimonianza più vivida di questo concepimento è il breve filmato promozionale realizzato da Ben Holman.

Nasce così FLY or DIE II: bird dogs of paradise (International Anthem, 2019) che dal primo disco ruba e aggiunge un titolo/sottotitolo intrigante, ma che tiene ben stretta quella alternativa indispensabile fra volare o morire che è sempre meglio farsela spiegare da lei piuttosto che da un economista. Chi siano i cani uccello (o gli uccelli cane) non è ben chiaro ma non riesco a scrollarmi di mente un parallelo con i cani della pioggia di Tom Waits, magari proprio gli stessi cani ma stavolta trasportati in un paradiso terreno e dotati di ali per volare. Un giorno forse ci apparirà lampante quell’incessante nesso fra ornitologia e jazz: per ora ho soltanto supposizioni vaghe e un bel po’ di dischi che mi tengo stretto, e sempre sia lodato Bird!

Quello che è lampante è che il disco è stato pensato come una suite, non proprio un concept album ma piuttosto un disco con un concetto ben chiaro: fuck your technique, sound first! E così sia! Ma c’è di più, c’è che Jaimie Branch aggiunge la sua voce a quella della sua tromba e a volte è persino difficile distinguerle. I brani si susseguono e si compenetrano lungo 45 minuti compatti, dolenti, gioiosi, incazzati e liberatori. Preludio, ballata, blues, cancion, funk, punk, spoken word, politica, interludio, urgenza, Mingus e Cherry e poi il gospel, brass band e marchin’ band, latin sound e poi urgenza, alcool e ancora urgenza. Tutto dentro, tutto indispensabile e tutto necessario come recita il dilemma che non lascia scampo: Fly or Die.

Si comincia dal mantra organico di Birds of Paradise con la mbira di Chad Taylor che imbambola e rapisce, la tromba si attorciglia in un suono algido e caldo e gli archi punteggiano e garriscono. Un preludio al blues dolente e calante di Prayer for Amerikkka pt 1 & 2 in cui giunge a tradimento la voce di Jaimie Branch punteggiata dai latrati gospel e spoken di Ben LaMar Gay e Marvin Tate: è l’invettiva contro l’America di Trump e la preghiera laica per una qualsivoglia redenzione, e non appena finisce l’omelia Chad Taylor raddoppia il tempo e arriva improvvisa dal confine messicano la chitarra di Matt Schneider a caracollare un tempo latino; ecco che la tromba si fa gitana a trasformare questa preghiera in una cancion che racconta di migrazione con tutta la rabbia strozzata nella gola e nella melodia ranchera della Branch, qualcuno li chiama instant classic!

Appena il tempo per un passaggio della suite con il violoncello di Lester St. Louis che tratteggia Lesterlude (che bel titolo!) ed ecco giungere twenty-three n me, jupiter redux che pare puro punk travestito da camera, con la testa che ondeggia in avanti al ritmo picchiato da Chad Taylor e l’elettronica che stride in sottofondo, il basso indugia e dubita e la tromba urla e si aggroviglia finché tutto non si perde in un sogno di ninnoli che cinguettano, ed è a questo punto che violoncello e contrabbasso, elasticizzati, intonano l’interludio bluesy di Whales. Giusto in tempo per far partire la marcetta infantile di simple silver surfer che se ne va spensierata trascinata dalla melodia appiccicosa della tromba, vien quasi da fischiettare al ritmo percussivo di Taylor che accarezza lo xilofono con Ajemian e St. Louis che gigioneggiano come degli Aristogatti sornioni. Disney, Walt intendo, non se la sarebbe fatta scappare.

È tempo di capire chi siano questi bird dogs of paradise: una suite da camera sospesa si protrae e tergiversa sulla risposta, l’attesa si fa attendere finché i tamburi ed i piatti di Taylor non introducono un overdubbing carpito live con latrati e ululati che molto hanno del cane e poco del volatile; è un prendere tempo o forse solo un ponte verso nuevo roquero estéreo che giunge con incedere latino (nelle vene di Jaimie Branch scorre sangue colombiano per discendenza materna) martellato da basso, violoncello e batteria. È qui che la tromba spicca il volo (ornitologicamente) in un solo che avrebbe fatto la gioia del Don Cherry più gaudente. E poi la stessa si sdoppia in una magia da mixer, il synth sporca la tela e Chad Taylor pare posseduto in un ritmo che farà esplodere le esibizioni live; è il preludio per il gran finale rappresentato da una love song scritta dalla Branch in gioventù e tenuta a decantare per un tempo equo dentro qualche cassetto. Una torch song anticonvenzionale dedicata a tutti gli assholes e ai clowns là fuori: lei inizia ad intonarla confidenziale e sorniona, quasi svogliata, punteggiandola con un miagolìo di tromba. Poi, a forza di ripetersi l’idea e a ripensare alla propria biografia, le sale una vaga incazzatura e il cantato si fa punk, straziante, ma forse è meglio non prendersi troppo sul serio e tornare a sussurrarla fino allo sfinimento mentre gli archi e la tromba garriscono fino ad esaurimento concetto. Ma resta il fatto che this one goes out to all those assholes and all those clowns out there. You know who you are!, e che gli instant classic, a questo punto, son due!

FLY or DIE II: bird dogs of paradise è un disco urgente e necessario come lo è rispondere (e rispondersi) al più presto alla domanda ribadita nel titolo. Attenderlo non è stato vano e nell’attesa non c’è stato inganno perché questo è per certo uno degli ascolti più appaganti di quest’anno, una voce definitivamente riconoscibile ed un approccio al jazz sgarbato e dolcissimo, dolente e sanguigno come la vita che Jaimie Branch rimescola dentro la sua musica fino a confondere arte e biografia, aspirazione di molti, prerogativa di pochi.
Applausi, sipario e buon ascolto.

Pubblicato in 2019 | 3 commenti

la radio uabab #235

Radio Sonora
la radio uabab #235
lunedì 28 ottobre 2019 ore 9,15
(replica: martedì 29 ottobre ore 21,00)
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God Blessed The Fool
Sandro Perri
Soft Landing (Constellation, 2019)
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Pink and Bleue
Mike Patton & Jean-Claude Vannier
Corpse Flower (Ipecac Recordings, 2019)
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When Thy Song
Bonnie ‘Prince’ Billy | Bryce Dessner | Eighth Blackbird
When We Are Inhuman (37d03d, 2019)
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The Romantic Artist | Transition
Phil Minton | Veryan Weston
Ways for an Orchestra (I Dischi di Angelica, 2019)
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Chirality
Eyvind Kang
Chirality (I Dischi di Angelica, 2019)
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Lovely Day
Pere Ubu
The Long Goodbye (Cherry Red Records, 2019)
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la radio uabab #234

Radio Sonora
la radio uabab #234
lunedì 3 giugno 2019 ore 9,15
(replica: martedì 4 giugno ore 21,00)


afternoon nap for pets (piano version)

Lullatone
music for museum gift shops (self released, 2019)
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Sharawaji Blues

David Rothenberg
Nightingales in Berlin (Terra Nova Music, 2019)
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Daylight Matters

Cate Le Bon
Reward (Mexican Summer, 2019)
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The Ballad of the Hulk

Bill Callahan
Shepherd in a Sheepskin Vest (Drag City, 2019)
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At Last I Am Free

Fire! Orchestra
Arrival (Rune Grammofon, 2019)
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la radio uabab #233

Radio Sonora
la radio uabab #233
lunedì 27 maggio 2019 ore 9,15
(replica: martedì 28 maggio ore 21,00)


Entrainment (excerpt)

Tony Buck & Massimo Pupillo
Unseen (Trost Records, 2019)
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Beka Tovuto

Jónsi & CM von Hausswolff
Dark Morph (Krunk/The Vinyl Factory, 2019)
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Dhil-un Taht Shajarat AlZaqum

MSYLMA
Dhil-un Taht Shajarat Al-Zaqum (Halcyon Veil, 2019)
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Fire Is Coming

Flying Lotus
Flamagra (Warp, 2019)
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Solar Power

Damon Locks Black Monument Ensemble
Where Future Unfolds (International Anthem, 2019)
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la radio uabab #232

Radio Sonora
la radio uabab #232
lunedì 20 maggio 2019 ore 9,15
(replica: martedì 21 maggio ore 21,00)

Kusuri O Takusan (Taeko Ohnuki)
Various Artists
Pacific Breeze: Japanese City Pop, AOR & Boogie 1976-1986 (Light In The Attic, 2019)
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Mannen i tårnet

Aki Takase Japanic
Thema Prima (Budapest Music Center Records, 2019)
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In 20XX

Dos Monos
Dos City (Deathbomb Arc, 2019)
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Datsu . Hikage no onna

Otoboke Beaver
Itekoma Hits (Damnably, 2019)
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Preoccupied
Mac DeMarco
Here Comes The Cowboy (Mac’s Record Label, 2019)
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Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2018/2019 | 2 commenti

la radio uabab #231

Radio Sonora
la radio uabab #231
lunedì 13 maggio 2019 ore 9,15
(replica: martedì 14 aprile ore 21,00)


Either Without the Other

Biota
Fragment For Balance (ReR Megacorp, 2019)
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Owl Joins In With The Morning Birds

Martin Archer
Another Fantastic Individual (Discus Music, 2019)
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IX

Arild Andersen | Clive Bell | Mark Wastell
Tales Of Hackney (Confront, 2019)
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Singou

Kukangendai
Palm (Ideologic Organ/Editions Mego, 2019)
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Part One

Loren Connors | Daniel Carter
The Departing of a Dream, Vol.VII (Family Vineyard, 2019)
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( ( ( ↓ ) ) )

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