la radio uabab #94

Radio Sonora
la radio uabab #94
lunedì 13 aprile 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 15 aprile ore 17,00)
podcast

Cummi-Flu-Z-300x300
J
Cummi Flu
(Album Label, 2015)
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Front1-300x300
Rhythms Rattle on Deaf Pawns
Mutamassik
Symbols Follow (Discrepant, 2015)
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2062_cascade_sleeve3
Cascade (excerpt)
William Basinski
Cascade (2062, 2015)

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folder-300x264


Te Recuerdo Amanda
Paolo Fresu / Daniele Di Bonaventura
In maggiore (ECM, 2015)
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cover
In The Moment

Makaya McCraven
In The Moment (International Anthem, 2015)
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Makaya McCraven
In The Moment

a Chicago esiste un club ricavato dall’ex caveau di una banca, si chiama The Bedford e a giudicare da quanto si può vedere in rete sembra uno di quei lounge bar lussureggianti (e lussuriosi) dove, con fare cinematografico, ci si può appollaiare al bancone per sorseggiare un cocktail degno di tale nome. ma non è tutto: il locale propone anche una cucina ricercata e musica, musica dal vivo.
era il 2013 quando la direzione del Bedford propose a Makaya McCraven di allietare le nottate musicali del locale: uno di quegli ingaggi di lunga durata alla maniera dell’epoca aurea del jazz e dei club dove questa musica si è fatta storia.
Makaya Marcus McCraven è un batterista e produttore residente nella windy city, giovane e con un background ben piantato nella storia del jazz ma con le orecchie rivolte al mondo e alla modernità.

Makaya-McCraven-press-photo-by-Nathan-Michael

inizialmente McCraven propose un trio composto dalla sua batteria, il basso di Matt Ulery e la tromba di Marquis Hill: Dave Vettrainodeus ex machina della Public House Sound Recordings nonché sodale dei tre, era presente nel club sin dal debutto nel gennaio 2013 per accendere i suoi due microfoni panoramici e portare a casa le registrazioni di quelle primissime serate. successivamente Vettraino si dotò di una dozzina di microfoni per catturare l’inestricabile amalgama dei suoni che dal palco si mescolavano con l’ambiente notturno degli avventori, mentre McCraven allargò la cerchia dei musicisti invitati che a date alterne andarono a formare un collettivo ad assetto variabile attorno all’ingaggio del batterista: il bassista Junius Paul, il vibrafonista  Justin “Justefan” Thomas, il chitarrista Jeff Parker, il contrabbassista Joshua Abrams e i due sax di De’Sean Jones e Tony Barba.
28 shows nel medesimo locale spalmati lungo i dodici mesi dell’ingaggio: un totale di quasi 48 ore di musica improvvisata dal vivo e registrata dai microfoni dei Vettraino. una summa sonora che Makaya McCraven ha poi rielaborato a domicilio lungo tutto il 2014 scegliendo, selezionando, impastando, tagliando, creando loop e remixando (assieme a Dave Vettraino) fino a creare 19 brani di “organic beat music”.

coverIn The Moment (International Anthem, 2015) è il frutto di tanto lavoro ed è uno dei frutti più prelibati che ci si possa immaginare di gustare. In The Moment raccoglie musica improvvisata nell’immediatezza del suo realizzarsi (tautologicamente parlando), musica istantanea e capace di “stare sul pezzo” (In The Moment appunto), buona all’uopo e alla circostanza di intrattenere i frequentatori notturni del club, musica di sottofondo (forse), suoni d’ambiente metropolitano con il jazz come orizzonte più ampio e il beating moderno come lingua d’espressione. lo stesso Makaya McCraven la ha definita “organic beat music” è non vi è alcun motivo per contraddirlo: inoltre non è chiaro se questa musica sia vedova di parole o abbia scelto di restarne zitella. musica strumentale che sembra porsi nel bel mezzo dell’eterno dilemma sulla primogenitura dell’uovo e della gallina: è nato prima il beat o l’assenza di un MC, prima il boom-boom-ciak o il flow assente. l’importante è non confonderla con moderna lounge o ancora peggio con chillout algida e meccanica: il suono di Makaya McCraven e dellla sua ganga è umanissimo e caldo, un drumming calante nell’attendere il timing perfetto o crescente nel rincorrere la modernità che risiede da sempre nell’istante: In The Moment appunto!

malgrado le tante ore di registrazioni sonore non sembra purtroppo esservi testimonianza visiva delle notti al club: la privacy dei nightwawks al The Bedford deve essere preservata. ma nello stesso periodo dell’ingaggio nel locale summenzionato un altro prestigioso club cittadino ospitava il gruppo di Makaya McCraven in quelle che possiamo immaginare come date off: il video è tratto da una serata al Constellation nell’ottobre 2014 e il mood musicale non si discosta molto da quello udito nel disco e nelle notti al Bedford.
un volo dal vecchio continente in direzione Chicago si aggira sui 700 euro: e nel mentre si comincia a risparmiare parsimoniosamente… buon ascolto.

Pubblicato in 2015 | 4 commenti

la radio uabab #93

Radio Sonora
la radio uabab #93
lunedì 6 aprile 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 8 aprile ore 17,00)
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FQ8gEG-300x300
Basbizile
Fantasma
Free Love (Soundway, 2015)
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portico-background-album-300x300
Atacama (feat. Joe Newman)
Portico
Living Fields (Ninja Tune, 2015)
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polar
The First Steps
Polar Bear
Same As You (Leaf Label, 2015)
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Steven-Ball-300x300


Beautiful Shoes Song
Steven Ball
Collected Local Songs (bandcamp, 2015)
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maxresdefault-300x297
I’m Kin

Colleen
Captain of None (Thrill Jockey, 2015)
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Désarroi
Zurück zum Beton (Version)

Kammerflimmer Kollektief
Désarroi (Staubgold, 2015)
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la radio uabab #92

Radio Sonora
la radio uabab #92
lunedì 30 marzo 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 1 aprile ore 17,00)
podcast


VA-Next-Stop-Soweto-4-Zulu-Rock-Afro-Disco-Mbaqanga-1975-1985-300x300Kokro-Ko (Hide and Seek)
The Actions
Next Stop Soweto 4: Zulu Rock, Afro-Disco & Mbaqanga 1975-1985 (Strut Records, 2015)
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Fadimoutou-Wallet-Inamoud-300x300
Adiamina
Fadimoutou Wallet Inamoud
Isswat (SahelSounds/Mississippi Records, 2015)
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Echoes Of The Forest- Music Of The Central African Pygmies

Honey-Gathering Song / Ikobi (version 2) / Birth Celebration
Echoes Of The Forest: Music Of The Central African Pygmies
(Ellipsis Arts, 1995)
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Song From The Forest

Water Drumming / Women Sing in the Forest / Net Hunt / Earth Bow / Louis Sarno Speaks
Song From The Forest Selected Recordings of Bayaka Music by Louis Sarno (Gruenrekorder, 2014)
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Song From The Forest
Selected Recordings of Bayaka Music by Louis Sarno

in proposito al vizio di fare l’etnomusicologo seduto sul sofà credo di averne già dibattuto in passato, ma non è che raccontandola la cosa passi da sé: piuttosto si sclerotizza conclamandosi, come una sindrome alimentata da pigrizia e incoerenza. me ne resto insomma immobile fra le mura casalinghe ma non posso evitare che il fanciullino se ne vaghi in giro per il mondo incuriosito, impenitente e innamorato dei suoni reconditi del mondo.
l’ultima epifania acustica mi raggiunge dalla profonda oscurità della foresta pluviale della Repubblica Centrale Africana (Congo) dove vivono da tempo immemorabile i pigmei Bayaka appartenenti all’etnia Aka della grande famiglia dei pigmei Mbenga.
ma procediamo con ordine o meglio guidati dall’inconsueta traiettoria esistenziale compiuta da un etnomusicologo (lui lo è per davvero) americano che una volta uditi alla radio i canti di questi pigmei ha deciso di andare ad ascoltarli e registrarli da vicino. era la metà degli anni ’80 del secolo scorso e con un biglietto di sola andata partì verso l’Africa per seguire quell’incanto sonoro che aveva dato senso al suo cercare: non si è più mosso da laggiù, entrando a far parte della comunità dei pigmei Bayaka, sposandone una di loro e con essa concependo due figli, senza mai smettere di registrarne i canti, le musiche ed i suoni che regolano l’esistenza di una delle più antiche popolazioni che ha abitato il pianeta.

song from the forest stillLouis Sarno ha la faccia di un uomo felice. i suoi studi di etnomusicologia cercavano un senso più ampio del semplice recarsi sul campo a carpire i suoni reconditi del mondo: un senso di appartenenza più profondo e compiuto che potesse abbracciare ben oltre la sola esperienza lavorativa. in varie interviste Louis Sarno ha raccontato di aver apprezzato da subito il profondo legame che regola l’esistenza dei Bayaka con le musiche, i canti e le danze che ne scandiscono i ritmi biologici della comunità e dei singoli.

la peculiare musica dei Bayaka è stata considerata patrimonio dell’Unesco nel 2003 e la complessità dei loro canti polifonici è da sempre argomento di studio per un nutrito numero di etnomusicologi. assieme al canto (e alle danze) accompagnano la loro musica con strumenti costruiti con materiale organico della foresta o con lamellofoni (o idiofoni) anch’essi realizzati con oggetti recuperati dalla civiltà limitrofa che cinge la foresta. ed è proprio il suono della foresta (diurno e notturno) che fa da ulteriore sottofondo alle musiche dei Bayaka.

© Tondowski Films/ RealFiction

le prime registrazioni sul campo dei pigmei si possono far risalire agli inizi del 1950 quando Colin Turnbull viaggiò nell’allora Congo Belga per riportare i primi suoni all’ignaro occidente. Jean-Pierre Hallet invece ai bordi della foresta ci era nato e vissuto al seguito del padre pittore e da lì iniziò ad innamorarsi dei canti pigmei che ne determinarono poi la sua passione e la sua professione. le registrazioni di questi due musicologi assieme all’esperienza più recente di Louis Sarno sono raccolte in un cd uscito nel 1995 per l’etichetta Ellipsis Arts nella collana Musical Expeditions.

Echoes Of The Forest- Music Of The Central African PygmiesEchoes Of The Forest: Music Of The Central African Pygmies è un documento straordinario corredato da un libretto lussureggiante che racconta le biografie dei tre ricercatori oltre a narrare le storie che hanno imparato dalla loro permanenza in Africa.
registrazioni sul campo che documentano la polifonia complessa dei canti pigmei, i rituali della caccia, i canti che accompagnano i passaggi esistenziali della vita e i suoni di alcuni strumenti peculiari di questa cultura. i tre etnomusicologi si cimentarono anche nella letteratura raccontando questa esperienza attraverso libri che stupirono l’occidente lontano e inconsapevole. quello di Louis Sarno, scritto nel 1993 si intitola Song From The Forest: My Life Among the Ba-Benjelle’ Pygmies e fu tradotto in italiano con il titolo di Il canto della foresta La mia vita fra i pigmei ba-benjellè dall’editrice Garzanti ma risulta ad oggi di difficile reperibilità.
ma è la vita di Louis Sarno ad aver esercitato una forte attrazione all’industria cinematografica tanto che si contano sin qui tre film che lo riguardano. il primo, udite udite, è stato realizzato in Italia da Marcello Aliotta e Alberto Marchi ed è un documentario di 56 minuti dal titolo Un americano tra i Bayaka (2006): prestigioso quanto irraggiungibile in quanto ad oggi pare impossibile la visione (anzi se qualcuno mi potesse aiutare). il secondo invece è datato 2011 e porta il titolo di Oka!: una sceneggiatura diretta da Lavinia Currier che ripercorre la vicenda di Louis Sarno trasfigurandone la vicenda con metodologie holliwoodiane (lo posseggo ma attendo di vederlo per ultimo). il terzo ed ultimo (ad oggi) è invece il documentario Song From The Forest del regista tedesco Michael Obert.

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il film è del 2013 ma è ancora in circolazione nelle sale e nei festival e quindi di difficile reperibilità casalinga. narra la vicenda di Louis Sarno ed in particolare il viaggio a rovescio dalla foresta pluviale verso New York in cui il musicologo accompagna (in seguito ad una promessa fatta) il figlio tredicenne Samedi a vedere il luogo da cui proviene il padre.
la mia personale delizia però è stata l’ascolto della colonna sonora naturalmente realizzata con le registrazioni di Louis Sarno.

Song From The Forest
Song From The Forest (Gruenrekorder, 2014) vanta una qualità audio stupefacente che amplifica e mette in risalto la meraviglia di questi suoni. canti femminili lontani carpiti nell’eco recondita della foresta, strumenti dal suono profondo e ancestrale (ascoltare l’earth-bow detto anche angbindi) o ipnotici e amniotici (il geedal), i canti imitatori delle prede nell’arte venatoria di sussistenza, e poi flauti di canna, percussioni acquatiche, richiami spiritici, evocazioni di benvenuto o di commiato, e per finire un field recordings notturno degli insetti della foresta da lasciare sbalorditi.

davvero un incanto per le orecchie, per gli occhi e pure per il senso compiuto che alla fine si vuole cocciutamente trovare nelle scoperte incontrate sul cammino, perché a voler davvero chiudere un largo cerchio di significanza ci si mette pure la scoperta della profonda amicizia che lega Louis Sarno con uno dei registi e personaggi indispensabili al mio incanto e alla mia educazione sentimentale.

Jim Jarmusch racconta anche di aver tratto ispirazione dalla vicenda di Sarno per delineare due dei suoi film (stiamo parlando di Dead Man e Ghost Dog) oltre che aver ascoltato sempre con profonda attenzione le delizie sonore che l’amico riportava dal continente africano. l’equazione banale che recita Jarmusch + le registrazioni di Sarno mi conduce senza difficoltà a John Lurie (e a tante cose già dette su di lui) in un cerchio che mi sento di voler chiudere senza neppure troppe forzature.
questa dunque la personale delizia dell’etnomusicologo da sofà che vede rivelarsi l’incanto e la meraviglia, e a questa aggiungersi il senso di tante passioni bruciate in visioni, ascolti e letture. l’Africa urla, il mistero risplende ed il suo suono ammalia.
perché come dice l’amico Tore “la musica che ascoltiamo è tutta africana! anche noi siamo tutti africani, sbiancati dalla dieta a base di grano!”.
buon ascolto

Pubblicato in 2014, 2015 | 7 commenti

la radio uabab #91

Radio Sonora
la radio uabab #91
lunedì 23 marzo 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 25 marzo ore 17,00)
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Never were the way she was
Won’t Be A Thing To Become
Colin Stetson & Sarah Neufeld
Never Where The Way She Was (Constellation, 2015)
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manyfingers
From Madam Hilda Soarez
Manyfingers
The Spectacular Nowhere (Ici d’Ailleurs, 2015)
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Som om husene ikke vet
Monkey Plot
Angående omstendigheter som ikke lar seg nedtegne
(Hubro, 2015)
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(ER)
Huntsville
Pond (Hubro, 2015)
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Bronx Aborigines
Billy Bang & William Parker
Medicine Buddha (NoBusiness Records, 2014)
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Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2014/2015 | 2 commenti

Kendrick Lamar
To Pimp a Butterfly

continuo a credere che una delle fortune di questo blog sia quello di avermi fatto incontrare persone, di avermi aiutato a stanare altri ammalati conclamati di musica e di storie che la riguardano. negli ultimi tempi poi queste persone hanno iniziato a dialogare raccontandomi delle loro musiche, suggerendo ascolti e spingendomi in territori da me inesplorati. come Nicola Altieri che mi sobilla appassionatamente verso i suoni che ama con la stessa febbre che riconosco e dalla quale (tanto lui, quanto me) non si vuole guarire. Nicola ama ascoltare e ama scrivere (e scrivere bene aggiungo), e così, a partire da questo post, frequenterà le pagine di questo blog quando ci sarà da raccontare di musiche cariche di passione (la sua) come quella di questo disco con cui inaugura le sue cronache.
benvenuto,
borguez

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Kendrick Lamar To Pimp a Butterfly

Mai giudicare un libro dalla copertina. Oggi più che mai del resto le copertine nessuno le osserva, essendo la parola divenuta liquida e digitale tanto quanto la musica. Ed invece no. Chiunque abbia passato del tempo in quei polverosi e vetusti luoghi chiamati negozi di dischi, sa quanto una copertina sia, per chi scava tra i vinili, come un luccichio che affiora dal terreno per il cercatore d’oro. La luce infondo alla ricerca, il primo segno di una folgorante e spesso inattesa scoperta.

front

Foto in bianco e nero. La Casa Bianca sullo sfondo, un manipolo di afroamericani ammassati uno sull’ altro, con facce tra il festante ed il riottoso, in mano mazzette di soldi e bottiglie di liquore, in primo piano, schiacciato dalla folla, il cadavere di un giudice, al centro un ragazzo sorridente con in braccio un neonato.
Rabbia e divertimento, rivolta e festa, successo ed autolesionismo. Un popolo e le sue contraddizioni ritratti in un singolo scatto. La presentazione di un disco che delle forti contraddizioni fa una dichiarazione d’intenti fin dall’ispirato titolo: To Pimp A Butterfly (Top Dawg / Aftermath / Interscope, 2015) letteralmente “far prostituire una farfalla” ma in altra accezione anche “portarla al successo”.

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L’America nera del dopo Ferguson, del dopo Trayvon Martin, del dopo tutti i ragazzi neri uccisi dalla polizia, un’ America che soffocata prova rabbiosamente ma lucidamente a respirare nelle parole di un ragazzo nato quando nei negozi usciva il primo disco dei Public Enemy, che andava a scuola quando 2Pac era un’icona pop e che oggi si carica tutto e tutti sulle spalle con coraggio, follia ed un ego smisurato, l’ego dei fuoriclasse. Kendrick Lamar, il ragazzo sorridente con in braccio un neonato, carica dritto e a testa bassa prima di tutto contro se stesso e contro il suo popolo, con rime colme di metafore dal taglio mirabilmente in equilibrio tra urgenza di strada e cultura alta, una retorica pittografica con un cuore autocritico prima ancora che accusatorio, per nulla celebrativo, pieno di dubbi ed insicurezze. Un cuore pulsante al ritmo di un funk puro e swingante, diretta emanazione di un ritorno fieramente e furiosamente “Afro” in certa musica black contemporanea, dal recente Black Messiah di D’Angelo alla deriva jazz di Flying Lotus. Un suono che scivola via ora suadente, ora graffiante e tagliente, mai davvero indimenticabile, non certo brillante o originale ma coeso e vitale, innervato da un flusso di parole che legano e travolgono tutto. Hip-Hop come stile espressivo nella messinscena di una tragicommedia sullo stato delle cose, sul pessimo stato delle cose.

Se Nudo E Crudo di Eddie Murphy fosse stato un disco sarebbe stato questo disco. Se ‎2Pac avesse fatto un disco con i Public Enemy sarebbe stato questo disco. Una carezza ed uno schiaffo, un bacio ed un cazzotto. Il sussurro nell’orecchio prima della spinta nel fosso.
(Nicola Altieri)

Pubblicato in 2015, Nicola Altieri | 4 commenti

la radio uabab #90

Radio Sonora
la radio uabab #90
lunedì 16 marzo 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 18 marzo ore 17,00)
podcast

cover-300x297
Ale Zagrajze Mi Kowola
Wojtczak NYConnection
Folk Five (ForTune, 2015)
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cover2-287x300
House Kaliente (w/ DJ Olifox)
Nidia Minaj
Danger (Principe, 2015)
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Model-500-–-Digital-Solutions-300x300
Standing In Tomorrow
Model 500
Digital Solutions (Metroplex, 2015)
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Descending Moonshine Dervishes


Descending Moonshine Dervishes (excerpt)
Terry Riley / Don Cherry
Live Köln 1975 (bootleg, 2013)
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Ryley-Walker-300x300
All Kind Of You
Ryley Walker
Primrose Green (Dead Oceans, 2015)
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Colin Stetson and Sarah Neufeld
Never Were The Way She Was

attenzione: suono scabroso, urticante e tagliente!
la copertina del disco di Colin Stetson e Sarah Neufeld potrebbe trovare apposto un adesivo (come il Parental Advisory) per allertare della natura caustica della materia in esso contenuto; e mai avvertimento è stato incautamente più bello ignorare!
dopo ripetuti contatti risalenti al 2010 e la concomitanza negli Arcade Fire (lui come esecutore/produttore e lei come membro recente), dopo un tour americano parallelo come solisti (era il 2012 ed iniziarono a condividere il palco accompagnando alcuni brani dell’uno e dell’altra) e dopo la comune partecipazione nella colonna sonora di Blue Caprice (2013), e naturalmente dopo i rispettivi (ed acclamati) esordi solisti ecco che il 2014 li vede iniziare una vera e propria collaborazione a due che li ha portati a rinchiudersi nell’attico della loro magione agreste nel Vermont per registrare i brani finiti in questo nuovo lavoro.

colinstetsonsarahneufeldpress

Never Were The Way She Was nasce in casa Constellation e non poteva essere altrimenti: lei al violino e alla voce e lui ai sassofoni (basso e tenore) e al clarinetto contrabbasso, oltre al solito armamentario di fisicità, sospiri, morsi espressi sulle ance e sulle meccaniche degli strumenti. inoltre la denominazione d’origine “the album was recorded without overdubbing, looping, sampling, cutting or pasting” dona al tutto l’incanto e lo stupore per il suono contenuto; un approccio materico che mescola timbri acustici, vocalità e tessiture organiche come se si trattasse di arte plastica e non di musica. impasti grezzi, ruvidi come in un’arte povera da toccare.
gli otto brani contenuti nel disco si potrebbero raccontare come cameristica contemporanea che deve parecchio al minimalismo: ma i due sembrano giunti in questo luogo procedendo contromano rispetto allo sviluppo cronologico di queste musiche del ‘900, arrivandoci a rovescio, dalla contemporaneità a ritroso verso il passato, dall’urgenza punk di Stetson mescolata con l’indie più colto della Neufeld indietro a ridefinire i confini di genere.

Never were the way she was

e talmente indietro che a volte pare di sentire un gregoriano post-moderno (Never were the way she was) o un madrigale sotto ipnosi (In the vespers); un notturno abitato da spiriti innocui (Won’t be a thing to become) e un largo vaticinante da una sinfonia di Dubuffet (With the dark hug of time). o il funk cubista (The rest of us) di cui una volta aveva cianciato Tom Waits in uno dei suoi deliri necessari: di certo i brani sono nati per stratificazione e imitazione (quasi ornitologica) in un processo di affinamento che ha avuto nell’attività live il necessario sviluppo. ecco i primi vagiti di The sun roars into view, che apre il disco, nell’esecuzione di un anno fa.

play it rough!
buon ascolto

Pubblicato in 2015 | 2 commenti

la radio uabab #89

Radio Sonora
la radio uabab #89
lunedì 9 marzo 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 11 marzo ore 17,00)
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Winter In America
Winter In America
Nicolas Jaar & Brian Jackson
Eleven Times (Nowness, 2015)
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Ghostpoet-Shedding-Skin-300x300
Shedding Skin (feat. Melanie De Biasio)
Ghostpoet
Shedding Skin (PIAS, 2015)
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nzimbu-298x300
Bwetaname
Ray Lema
Nzimbu (One Drop, 2015)
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Ernst Reijseger  Count till Zen


Perhaps
Reijseger Fraanje Sylla
Count Till Zen (Winter&Winter, 2015)
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The First Renga (Ben)
James Falzone’s Renga Ensemble
The Room Is (Allos Documents, 2015)
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