Reijseger Fraanje Sylla
Count Till Zen

sono giorni di finestre adornate
canti di stagione

non so se vi sia mai capitato di avere una specie di illuminazione, un’epifania privata che d’incanto vi rivela il senso ultimo di quei tanti enigmi che ci portiamo appresso; qualcuno mi ha raccontato di aver capito i limiti (matematicamente parlando) passeggiando per strada, altri hanno compreso la fisica quantistica al quinto bicchiere ed io invece mi portavo addosso da tanto tempo la sensazione impalpabile e spirituale racchiusa in due versi di una splendida canzone vergata a due mani da Fossati e De André.
una sensazione dai contorni imprecisi eppure così densa e forte, come un profumo d’infanzia o un ricordo materico: una raffigurazione di gioia pura che percepivo nell’istantanea fotografica ma che non riuscivo a riportare “a terra”, a rendere carnale.
e la musica mi è corsa in soccorso una volta di più: ascoltare il nuovo disco del trio Reijseger Fraanje Sylla ha come disvelato quel mistero rendendolo udibile, tangibile e figurandolo reale nei modesti limiti della mia immaginazione.

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Count Till Zen (Winter&Winter, 2015) è indiscutibilmente un disco di musica da camera: un suono intimo pensato, voluto ed eseguito nell’ambiente racchiuso di una stanza che il produttore Stefan Winter ha voluto carpire con l’utilizzo di un solo microfono panoramico. così lo Steinway Grand Piano di Harmen Fraanje, il violoncello a cinque corde di Ernst Reijseger e la voce e la chincaglieria percussiva africana di Mola Sylla si sono fusi per riempire e saturare lo spazio che li circondava. mi sono permesso di immaginare questa stanza con una di quelle ampie finestre olandesi che si affacciano sulla strada, aperte a catturare la maggior quantità di luce negli avari inverni nordici o abbacinate dal bagliore interminabile delle lunghe giornate di solstizio. una finestra aperta all’esterno attraverso la quale chiunque, passando, potesse ascoltare il suono che fa il mondo quando smette il fragore e il clangore delle inutilità che lo assillano.

Ernst Reijseger  Count till Zen

perché Count Till Zen ha la scellerata bellezza di una musica che si è lasciata indietro le etichette ed un lungo passato di colonialismi culturali, quegli andirivieni per cui gli occidentali vanno ad incontrare l’altro mondo oppure pretendono di imporlo alle provincie dell’impero: Fraanje proviene dall’accademia e dall’improvvisazione di matrice europea, Sylla ha il Senegal nel cuore e l’Africa negli occhi ma vive da quasi trent’anni in Olanda e Reijseger è un flâneur del suono, apolide e capace di tramutare in anarchia qualsivoglia genere o pensiero musicale definito. insieme sanno saltare a piedi pari le direttrici che vogliono regolare l’ineluttabile movimento degli uomini su questa terra e definire quanto e come si possano mescolare le storie che si portano dietro: la loro musica è già altrove, ben oltre il presente ed eppure così urgentemente qui ed ora.

761

il loro disco precedente (Down Deep Winter&Winter, 2013) aveva afferrato un’idea salvandola dal precipizio dell’oblio, una possibilità di far confluire in un suono cameristico la contemporaneità delle musiche di un mondo perpetuamente cangiante. quell’idea si è precisata, smagrendo nell’essenziale di questo nuovo lavoro che ha nella leggerezza e nella volubile volatilità di dieci brani il suo fulcro puro e non scalfibile.
il flusso delle loro composizioni ha davvero la naturalezza dello scorrere del tempo, l’avvicendarsi delle stagioni, il ritmo dei nostri giorni: è in questa epifania che ho riconosciuto il senso di quelle parole che da molti anni mi sussurro all’orecchio come a volerne distillare l’essenza.
ecco dunque i canti di stagione, ecco le finestre adornate da cui risuona tante pacificante bellezza. davvero una meraviglia, buon ascolto

Pubblicato in 2015 | 6 commenti

la radio uabab #88

Radio Sonora
la radio uabab #88
lunedì 2 marzo 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 4 marzo ore 17,00)
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future brown


Vernacùlo feat. Maluca
Future Brown
Future Brown (WARP, 2015)
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ala.ni

Cherry Blossom
Ala.Ni
Spring (Yse Records/No Format, 2015 EP)
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Melanie-De-Biasio-No-Deal-Remixed-300x300

I’m Gonna Leave You (Clap! Clap! Remix)
Melanie De Biasio
No Deal Remixed (Play It Again Sam, 2015)
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http-::www.transgressiverecords.com:releases:detail:songhoy-blues-music-in-exile
Sekou Oumarou
Songhoy Blues
Music In Exile (Transgressive, 2015)
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cover11-300x300

Africa Express Presents… Terry Riley’s In C Mali
Africa Express
Africa Express Presents… Terry Riley’s In C Mali (Trasgressive Records, 2014)
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Dave Cloud


I’ll Run The Jack On You

Dave Cloud
Presents…Songs I Will Always Sing (Bloodsuckers, 1999)
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la radio uabab #87

Radio Sonora
la radio uabab #87
lunedì 23 febbraio 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 25 febbraio ore 17,00)
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Fetch:Catch THEESatisfaction EarthEE (Sub Pop, 2015)


Fetch/Catch
THEESatisfaction
EarthEE (Sub Pop, 2015)
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BB175 Cover (1)


Hand An Wand
Schneider Kacirek
Shadow Documents (Bureau B, 2015)
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Revisionist-300x300


Unholy Frames (Feat. Origamibiro)
William Ryan Fritch
Revisionist (Lost Tribe Sound, 2015)
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Eric-Chenaux-Skullsplitter-300x300
Have I Lost My Eyes?
Eric Chenaux
Skullsplitter (Constellation, 2015)
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Beatles-vs-Hip-hop-Legends-300x300

Intro (part 2) / Intro (part 1)
Country Grammar – Talib Kweli & Bun B
The Beatles vs. Hip-Hop Legends
An Adventure To Pepperland Through Rhyme & Space (MonkeyBoxing, 2015 free download)
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Schneider Kacirek
Shadows Documents

correva l’anno 2011 ed il disco di Sven Kacirek, costruito in uno studio tedesco a partire da registrazioni ambientali di un precedente viaggio africano, metteva d’accordo molteplici palati musicali e si insediava ai piani alti di molte classifiche stagionali. The Kenya Sessions era (e resta) uno di quei dischi angolari non soltanto per la carriera del solo musicista, ma anche per molta musica successa da lì in poi. Sven Kacirek è insomma uno di quei musicisti da tener d’occhio (mi dissi) e sebbene il seguito discografico solista (Scarlet Pitch Dreams, Pingipung 2012) non aveva convinto assai, parecchi indizi (installazioni e collaborazioni) mantenevano elevato il grado di attenzione nei suoi confronti. eccolo quindi rispuntare neanche troppo a sorpresa in terra tedesca ed in veste collaborativa con un altro manipolatore elettronico nonché paladino del post-rock (in salsa electro-kraut) nazionale: lui è Stephan Schneider, già membro dei Kreidler e terzo vertice del triangolo palindromo chiamato To Rococo Rot formato assieme ai fratelli Robert e Ronald Lippok.
Schneider e Kacirek condividono la comune passione per il Kenya e la sua cultura musicale, passione che li portò nuovamente nel 2011 (con il benestare del Goethe Institute) a registrare un disco di field recordings dell’etnia Mijikenda nel villaggio di Mukunguni (il disco uscì per la Honest Jon’s Records).

Stefan Schneider  Sven Kacirek

il loro nuovo lavoro in duo è pubblicato dall’etichetta di Amburgo Bureau B: vede il patrocinio sempre del Goethe Institut, e pure dell’Unesco, e guarda all’Africa dalla terra germanica senza l’utilizzo di nessun field recordings ma con l’intenzione di riportare le dinamiche, le tessiture e le poliritmie della musica kenyana nell’ambito oramai storicizzato dell’elettronica teutonica (la press release recita “Kenia meets Krautronics” o “African rhythms into dark electronica”: lo dicono loro e quindi ne prendiamo atto).

BB175 Cover (1)

Shadows Documents (Bureau B, 2015) è costruito attorno all’esperienza elettronica ventennale di Schneider unita all’artigianato materico e percussivo di Kacirek: la tessitura reiterativa ed ipnotica delle reciproche scienze crea tappeti stratificati di un suono assai elegante e solo in apparenza oscuro. puntillismo ed approccio organico rendono il disco ricco e per nulla scontato: avventurarsi nell’esplicazione alla domanda che tipo di musica è questa? vedo che mette in difficoltà pure i diretti interessati che si trincerano dietro una serie di definizioni in negativo (non è questo e neppure quello).

la materia del suono, la grafica del disco e la presentazione dell’etichetta fanno davvero pensare alla germanica affidabile seriosità di una casa farmaceutica che presenta un farmaco ad un convegno specializzato: il bugiardino dichiara il principio attivo, la modalità d’uso e la posologia minimizzando su irrilevanti effetti indesiderati o improbabili controindicazioni: eppure dall’ascolto del disco fuoriescono sensazioni spurie, organiche, di quella natura misteriosa ed africana che rappresenta (forse) l’ingrediente segreto che i due hanno saputo infondere nell’alambicco.

consiglio quindi l’assunzione di questo disco in maniera ripetuta e ribadita fregandosene per una volta del noto avvertimento che prevede di leggere attentamente istruzioni e modalità. buon ascolto

Pubblicato in 2015 | 4 commenti

la radio uabab #86

Radio Sonora
la radio uabab #86
lunedì 16 febbraio 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 18 febbraio ore 17,00)
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Ibeyi-Ibeyi-300x300


Think Of You
Ibeyi
Ibeyi (XL Recordings, 2015)
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LabField-Bucket-of-Songs-300x300
Ragged Line Reversed
LabField
Bucket Of Songs (Hubro, 2015)
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Éric-la-Casa-Taku-Unami-Parazoan-Mapping-300x261
Parazoan Mapping 7
Éric la Casa & Taku Unami
Parazoan Mapping (Erstwhile Records, 2015)
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Xavier-Charles-12-Clarinets-In-A-Fridge-300x300


10 Clarinets In A Washing-Machine
Xavier Charles
12 Clarinets In A Fridge 
(Unsounds, 2014)
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Pascal-Comelade-Traité-de-guitarres-triolectiques-2015-300x296Green Fuz
Pascal Comelade + Les Limiñanas
Traité de Guitares Triolectiques: à l’Usage des Portugaises Ensablées (Because Music, 2015)
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cover4-300x300Anana Hip
Dolores Vargas / Various Artists
Gipsy Rhumba: The Original Rhythm of Gipsy Rhumba in Spain 1965-1974 (Soul Jazz Records, 2014)
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la radio uabab #85

Radio Sonora
la radio uabab #85
lunedì 9 febbraio 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 11 febbraio ore 17,00)
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Musica-per-una-società-senza-pensieri-Vol.-1

Chubanga
Mauro Ottolini Sousaphonix
Musica per una società senza pensieri Vol.1
(Parco della Musica Records/Egea, 2015)
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Chienne de Vie
Chienne de vie
Zoufris Maracas
Chienne de vie (Chapter Two/Wagram, 2015)
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Mbalimaou Boubacar Traore
Mbalimaou
Boubacar Traoré
Mbalimaou (Lusafrica, 2015)
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Front-300x300


O Que E Que A Bahiana Tem
Chico Buarque, Caetano Veloso, Gilberto Gil
Dorival Caymmi: Centenário (Biscoito Fino, 2014)
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cover18-300x300
I’m a Fool to Want You
Bob Dylan
Shadows in the Night (Columbia, 2015)
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Bahto Delo Delo
Tagoi

ancora sul popolo rom, ancora sull’indiavolata musica gitana, ancora Romania, ancora Clejani ed ancora Taraf De Haidouks; perché le manie si nutrono di sé stesse e la passione tautologica non ammette replica.
non pensavo di tornare in questi luoghi così a breve ed invece ecco giungere da Clejani un altro frutto della vite selvatica che ha messo radici laggiù, un’altra ramificazione di quell’immenso albero genealogico che alligna fra fango, neve e miseria.

foto

Marin ‘Tagoi’ Sandu è un fisarmonicista nato a Clejani, figlio del compianto Nicolae Neacsu (uno dei grandi anziani fondatori dei Taraf De Haidouks a cui tutta la comunità tributò un funerale degno di un vero monarca senza regno e corona). Tagoi è un vero virtuoso dello strumento alla testa del suo gruppo Bahto Delo Delo (nella lingua rom sta per “che Dio ti conceda fortuna”) che da parecchi anni porta avanti la tradizione musicale nello stile dei lautari: oggi Marin ‘Tagoi’ Sandu ha 64 anni e non ha mai inciso un disco e neppure è mai uscito per suonare all’estero. una vita familiare modesta e di comunità, vita che ha portato quei figli (tanti) che oggi compongono la maggior parte dei musicisti del suo gruppo.

Bahto Delo Delo 1

Marin ‘Tagoi’ Sandu alla voce e fisarmonica dunque, e poi la figliolanza al seguito: Marinel Sandu al cimbalom, Stefane Sandu anche lui alla fisarmonica e alla darbuka, Vivi Sandu altra fisarmonica accordion, Ninel Basaru al cimbalom, Vasile ‘Sile’ Neacsu al contrabbasso e la mascotte Florentina Sandu alla piccola darbuka. banda a conduzione pressoché familiare che approfitta del lungo inverno rumeno per allietare i ritrovi sociali e domestici con la musica tramandata dalle generazioni.

una musica a perdifiato, a scapicollo giù per le vertigini di un funambolismo tecnico al limite del circense: il cimbalon che pare scappare via di corsa con il meccanismo caldo delle sue corde moltiplicate e percosse, il contrabbasso “slappato” a dare fisicità e ventre al suono, e poi le fisarmoniche come mantici a soffiare sul magma di questa musica posseduta. una musica che deve aver fatto innamorare Jeremy Barnes e Heather Trost (leggi A Hawk and a Hacksaw) che non hanno esitato troppo per incidere e pubblicare un disco per la loro L.M. Dupli-cation.

Tagoi

Bahto Delo Delo Tagoi (L.M. Dupli-cation, 2015) è stato registrato a Clejani nel soggiorno di casa Sandu, e per questo tutto quanto è udibile non nasconde trucchi o inganni: puro suono rom nell’epifania del suo realizzarsi, musica vibrante e febbrile che urla l’urgenza del qui e ora, senza dimenticare il secolare movimento del popolo rom, la sua dromomania e l’eredità di questa tradizione sonora tramandata nel susseguirsi delle generazioni. quel viaggio a Clejani sempre più sognato in segreto diventa sempre meno rimandabile.
buon ascolto

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la radio uabab #84

Radio Sonora
la radio uabab #84
lunedì 2 febbraio 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 4 febbraio ore 17,00)
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front


Wraith
John Carpenter
Lost Themes (Sacred Bones Records, 2015)
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2814 - 新しい日の誕生 - cover
悲哀
2814
新しい日の誕生 (Dream, 2015)
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11183_JKT


Corps
Zs
Xe (Northern Spy, 2015)
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cover13-300x300


Boyd 1970
Christian Wallumrød
Pianokammer (Hubro, 2015)
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parchmanAin’t Been Able To Get Home No More
Heuston Earms
Parchman Farm: Photographs And Field Recordings, 1947-1959 (Dust-to-Digital, 2014)
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( ( ( ↓ ) ) ) e ( ( ( ↓ ) ) )

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Various Artists
Parchman Farm: Photographs and Field Recordings
1947-1959

il Tempo (con la maiuscola) della Dust-o-Digital non coincide affatto con quello che siamo abituati a vivere e concepire: è sfuggente, errante, capovolto, contro-verso, e si muove per differenti unità di misura, variabili e adattabili a piacimento.
del resto, per chi si è dato come ragione sociale quella di trasportare un patrimonio immenso dalla polvere che avvolge gli albori dell’industria discografica agli spazi algidi e digitali di un futuro insondabile, l’idea del nostro tempo è pressoché indifferente. viene scavalcato a prescindere, scartato e sorpassato: con la calma urgente e la fretta rallentata che siffatte operazioni richiedono.
Lance e April Ledbetter (anime dell’etichetta) portano senza eroismo la responsabilità di questa missione che sta iniziando ad assumere la statura dell’impresa (il catalogo è forgiato sul concetto di imprescindibile): l’ultima pubblicazione in ordine di tempo (il loro) è la raccolta integrale delle registrazioni che Alan Lomax effettuò nel penitenziario statale del Mississippi (noto come Parchman Farm) nel 1947/1948 e poi successivamente nel 1959.

parchman

penitenziario che ospitava (ed ancora ospita) una percentuale di afroamericani prossima al cento, tutti “impiegati” nel taglio della legna, nello sfalcio e nella pulizia della vegetazione e nella raccolta del cotone per conto dello stato (oggi non saprei davvero con quali diletti si trastullino i costretti che vi sono internati).

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lavoratori forzati all’utilità sociale che accompagnavano i ritmi delle mansioni e della giornata con i celeberrimi holler (field holler) uditi in alcune registrazioni discografiche (quelle di Lomax non erano inedite) e (spesso) stereotipati in film che hanno creato quell’iconografia sonora dell’uomo di colore intento al canto mentre si spacca la schiena su pietre, legna o cotone.

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il canto come redenzione, sollievo, preghiera, benzina e transumanazione. il canto corale determinato dalle logiche del call and response come sentimento comune, aggregazione, condivisione e baluardo contro le derive della solitudine. le metriche ed i ritmi percussivi del lavoro a fare da illusoria scala per la quale evadere con lo spirito imprendibile.

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siamo nel 1947, il jazz è già un monumento di appartenenza ed il be bop sta iniziando ad impazzare la fuori (a loro insaputa), il blues è l’alfabeto sul quale questi prigionieri hanno imparato a bofonchiare parole ed accordi, il gospel è il soul train per allontanarsi dalle angherie della condizione di afroamericani nel sud ancora profondamente razzista. questi gli unici strumenti per raccontare della propria anima e della propria storia a fratelli costretti nella stessa condizione.

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il soul ed il funk sono bel lontani a venire ma non credo sia difficile intuirne i prodromi nelle cadenze del canto, negli intervalli e negli impasti vocali. la natura della grande anima afroamericana è qui lasciata a soffrire (non che fuori andasse meglio), ad essicare al sole e scorticarsi al lavoro, sudare nella polvere e a ringhiare in cattività. pare di sentire in questi canti (ed in questi blues) l’essenza scarnificata di questa anima, la sua manifestizione essenziale ed epifanica dalla quale tante altre espressioni hanno attinto nella consapevolezza che questa, profonda e silente, è la voce degli antenati strappati alla madre Africa.

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non è già più l’anello mancante che ricongiunge la tradizione africana con le manifestazioni che si svilupperanno nel continente americano: quello è il Sacro Graal di molti etnomusicologi, ma è sperduto come una goccia d’inchiostro in un secchio di latte.
non è il segreto rivelato ma è la prova della caparbia convinzione di Alan Lomax che riteneva che non si potesse prescindere da questi canti per comprendere la storia della musica afroamericana.

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una prima visita nel 1947-48 con un registratore a bobina al seguito e una macchina fotografica: è il primo dei due dischi dove sono raccolti perlopiù i canti del lavoro raccolti sul campo (sic!). ci sono molti hollers, alcuni traditional e qualche brano che è divenuto (suo malgrado) uno standard: John Henry e quella Rosie che qualcuno ricorderà nella versione che ne fece Nina Simone (Be My Husband).

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il secondo disco (in cui rientrano le registrazioni del 1959 e gli inediti mai ancora pubblicati) prevedono anche l’ascolto di qualche chitarra o un’armonica concessa dietro alle sbarre, e quindi qualche blues rudimentale ed alcuni canti/intervista registrati fra le mura della prigione. la seconda visita rubò anche qualche filmato carpito da una camera di fortuna e le molte fotografie (77, di cui alcune qui riprodotte) che ritraggono i volti di questi involontari protagonisti di uno dei dischi imprescindibili della grande storia afroamericana.

imperdibile, come si è già detto. buon ascolto.

Pubblicato in 2014 | 1 commento

la radio uabab #83

Radio Sonora
la radio uabab #83
lunedì 26 gennaio 2015 ore 17,00
(replica mercoledì 28 gennaio ore 17,00)
podcast

Benjamin


Adios
Benjamin Clementine
At Least For Now (Behind, 2015)
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Of Lovers, Gamblers & Parachute SkirtsWhere Do You Come From, Dear Lady?
Taraf de Haïdouks
Of Lovers, Gamblers and Parachute Skirts
(Crammed Discs, 2015)
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MIE028-Cover-small-298x300


Hymn of Memory
Áine O’Dwyer
Music For Church Cleaners Vol.I and II (MIE, 2015)
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Jad-Fair-Norman-Blake-2015-Yes-300x300


Yes

Jad Fair & Norman Blake
Yes (Joyful Noise Recordings, 2015)
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Blue
Blue in Green
Mostly Other People Do the Killing
Blue (Hot Cup Records, 2014)

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