Pyramid Vritra
Indra

ritengo sia buona norma volgere sempre un orecchio in direzione Los Angeles e più precisamente a quanto combinano in casa Stones Throw. da lì giungono spesso meraviglie dall’universo afroamericano dei beat più avanzati: tenendo momentaneamente da parte il decano demiurgo Madlib (che dell’etichetta è il gioiello più iridiscente) è assai facile che le discoperte del genius loci Peanut Butter Wolf colgano nel segno e misurino la temperatura delle febbre creativa della comunità dei beatmakers innamorati dell’anima nera del suono. una specie di funzione sociale che una volta svolgevano etichette come la Motown o la Stax, una missione e anche un vera delizia. capita così che acquistando a scatola chiusa ci si imbatta in piacevoli epifanie.

HalWilliams

di Pyramid Vritra confesso di non aver saputo nulla finché non ho spulciato la scheda biografica presentata dall’etichetta. giovanissimo (22 anni) e noto al secolo con il nome di Hal Williams: una febbre creativa che lo ha colto all’età di 10 anni e tanto sgobbare su piatti, manopole e monitor di produzione; poi finalmente il debutto sull’etichetta che ostenta il maggior blasone sul campo hip-hop e dintorni.

Pyramid Vritra

Indra (Stones Throw, 2014) in effetti una piccola gemma lo è: un flow maturo e bislacco adagiato su basi elettroniche e dal vago sapore spaziale (the space resta pur sempre the place), una flemma che imbambola e incanta. il beat è quasi seduto, sedato e quasi rallentato (J Dilla docet), atmosfere fumose, echi soul e la calma come virtù da tenere accoccolata sulle ginocchia, come un gatto sornione.
confesso di aver subito parecchi anni addietro l’imprinting del verbo hip-hop da quel trio formidabile che furono i Digable Planets e successivamente dalle sue incarnazioni più recenti che hanno preso il nome Palaceer Lazaro e/o Shabazz Palaces nella medesima persona di Ishmael Butler: e quindi confesso che Pyramid Vritra pare intraprendere proprio quel sentiero denso di stile, eleganza e sinuoso dinoccolare per incontrare la mia definitiva approvazione e gioia.

there’s fluidity and a calm in the midst of complexity!
rubo e sottoscrivo le parole di Pyramid Vritra: descrivono assai bene l’amalgama di questi suoni che si insinuano felpati e gentili. una sorpresa: non c’è che dire.
buon ascolto

Pubblicato in 2014 | 2 commenti

la radio uabab #49

Radio Sonora
la radio uabab #49
venerdì 14 febbraio 2014 ore 21,00
(replica sabato 15 febbraio ore 21,00)
p o d c a s t

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Harsh Words With The Oracle feat. Jelani Brooks
Diggs Duke
Offering For Anxious (Brownswood Recordings, 2014)
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cover2-300x300
Second Exit Part One
Fire! Orchestra
Second Exit (Rune Grammofon, 2014)
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front-300x300The Invisible Church
Current 93
I Am The Last Of All The Field That Fell: A Channel (Coptic Cat, 2014)
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joshua-abrams-represencing-300x300
San Anto
Joshua Abrams
Represencing (Eremite Records, 2012)
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Cover1-300x249Magia Phonotactica (1650)
Patrick Feaster
Pictures of Sound: One Thousand Years of Educed Audio: 980-1980 (Dust-to-Digital, 2012)
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Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2013/2014 | 1 commento

la radio uabab #48

Radio Sonora
la radio uabab #48
venerdì 7 febbraio 2014 ore 21,00
(replica sabato 8 febbraio ore 21,00)
p o d c a s t

Carla-Bozulich-300x300
Don’t Follow Me
Carla Bozulich
Boy (Constellation, 2014)
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raz ohara
Moksha
Raz Ohara
Moksha (Album Label, 2014)
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album_art-300x300
Stayin’ Alive
Les Claypool’s Duo De Twang
Four Foot Shack (ATO Records, 2014)
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Time
Time: Archeology
Anthony Joseph
Time (Naïve, 2014)
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Leo-WelchSabougla-Voices-300x300
Me And My Lord

Leo Welch
Sabougla Voices (Big Legal Mess, 2014)
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Anthony Joseph
Time

assai più del crowd funding con il quale è stato sponsorizzato il progetto, la maggiori curiosità riguardo al nuovo progetto di Anthony Joseph vertevano sull’illuminata (e lieta) collaborazione/produzione con la stimatissima (Joseph non ne ha mai fatto mistero) Meshell Ndegeocello. credo fosse lecito, da fan, immaginare: è quanto ho incominciato a fare non appena avuta la notizia di questa collaborazione. ma la musica immaginata (soprattutto se si è sulla sponda fruitiva) non ha l’efficacia e l’appeal di quella udita, e aggiungo per fortuna! confesso però che attendevo una qualche rivoluzione nella carriera del poeta caraibico da qualche anno felicemente approdata ad una cifra personalissima e riconoscibile nutrita di spoken poetry adagiata su di una miscela incandescente di afrofunksoulcarribean (tuttoattaccato) di natura finissima e ad alto contenuto danzereccio.

Timecosicché non appena mi è giunto Time (Naïve, 2014) la prima impressione è che non molto fosse cambiato dal punto di vista musicale: ma dal punto di vista poetico e narrativo sì, eccome! è lo stesso Joseph a raccontare come la volontà produttiva di Meshell Ndegeocello ha spinto in maniera inequivocabile verso l’attitudine verbosa del nostro eroe. una voce narrante in primo piano a raccontare quelle storie che da sempre rappresentano l’anima dell’arte dello scrittore (e musicista) di Trinidad, come se si trattasse di word-sculptures. e in effetti pare di avere per le mani (e fra le orecchie) un libro di novelle, 11 racconti indipendenti a rilegare una raccolta di racconti. storie di ordinaria quotidianità, di fragilità femminili, di lotta, di politica e di autodeterminazione afroamericana, fantasmagorie di un griot visionario, epopee di schiavitù e piccoli haiku di gioia epifanica.
sia ben chiaro la musica c’è e finge solamente di starsene in disparte: il funk, i ritmi caraibici, vaga elettronica e un pulsare costante del ritmo, dal basso ventre a spingere sangue e suoni a sostegno della lingua che declama. possono sembrare musiche disomogenee e disgiunte ma sono solo undici sfaccettature di un solido che ha nella blackness più profonda il suo fulcro portante.

il primo singolo Tamarind potrebbe trarre in inganno (ma il commercio ha le sue regole): è forse il brano del disco che più si discosta dal flusso più umorale e pulsante del disco, ma l’appeal radiofonico e la malìa dei due protagonisti non si discute.
il disco continua a girare ascolto dopo ascolto e si fa viva la sensazione che l’elaborazione del lutto per la scomparsa di Amiri Baraka abbia trovato un primo appiglio per provare a rialzare la testa e lo spirito.
non vorrei esser frainteso: siamo al cospetto di un ottimo disco e di certo di un grande interprete di questo tempo e degli anni che verranno.
buon ascolto

Pubblicato in 2014 | 3 commenti

la radio uabab #47

Radio Sonora
la radio uabab #47
venerdì 31 gennaio 2014 ore 21,00
(replica sabato 1 febbraio ore 21,00)
p o d c a s t

a
Ishtarum
Amir ElSaffar
Alchemy (PI Reordings, 2013)
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Ivo Perelman, Matthew Shipp, Whit Dickey, Gerald Cleaver - Enigma (2013)
Gentle As A Fawn
Ivo Perelman / Matthew Shipp / Whit Dickey / Gerald Cleaver
Enigma (Leo Records, 2013)
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Second Cities Vol.1
Shotgun Wedding
Mike Reed’s People, Places & Things
Second Cities Volume 1 (482 Music, 2013)
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Where Shine New Lights
The Signal, Lift
Tara Jane O’Neil
Where Shine New Lights (Kranky, 2014)
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pino
Flomé

Otto A Totland
Pinô (Sonic Pieces, 2014)
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la radio uabab #46

Radio Sonora
la radio uabab #46
venerdì 24 gennaio 2014 ore 21,00
(replica sabato 25 gennaio ore 21,00)
p o d c a s t

The Invention Of Animals
Men With Sticks (Noble Version)
The John Lurie National Orchestra
The Invention Of Animals (Amulet Records, 2014)
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cover11-300x300
Toumast Tincha
Tinariwen
Emmaar (ANTI, 2014)
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SAHKO028-Ø-Konstellaatio-2014-300x300
Takaisin
Ø (Mika Vainio)
Konstellaatio (Sähkö Recordings, 2014)
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cover14-300x300
Falling Too Far
Mary Halvorson / Michael Formanek / Tomas Fujiwara
Thumbscrew (Cuneiform Records, 2014)
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Moon Cake

Aki Takase La Planete
Flying Soul (Intakt Records, 2014)
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The John Lurie National Orchestra
The Invention of Animals

ogni dromessa è pebito.
avevo annunciato un disco imminente per The John Lurie National Orchestra (dopo averlo evocato e trasmesso in radio) ed eccolo qui giunto.

The Invention Of Animals

The Inventions Of Animals (Amulet Records, 2014) giunge per fortuna (ma anche purtroppo) a raccogliere quel poco materiale sparso che non fosse stato racchiuso nell’unico disco del terzetto uscito nel 1993 con il titolo Men With Sticks.
7 brani in tutto: quattro estrapolati dalla colonna sonora di Fishin’ With John (Flutter, The Beast, Little, Ignore the Giant), la ripresa della title track dell’unico disco (Men with Sticks (Noble Version)) e per nostro sommo deliquio due registrazioni live inedite: I Came to Visit Here for a While registrata il 7 maggio 1993 al Threadwaxing Space di New York e The Invention of Animals catturata dal vivo a Salonicco il 12 febbraio 1994.
sono queste due delizie che vedono John Lurie (al soprano e all’alto) accompagnato dai fidi Calvin Weston (batterie) e Billy Martin (percussioni) ad infliggere struggente bellezza e indicibile amarezza: musiche registrate vent’anni fa che conservano una carica innovativa inalterata ed una freschezza stordente. la delizia è poterle riascoltare, il cruccio saperle irripetibili e lasciate lungo una traiettoria non più percorribile.

John+Lurie+National+Orchestra

la cifra unica ed inimitabile dei fiati di Lurie e l’impasto poliritmico dei due sodali innalzano un monumento totemico ad un’AFRICA (maiuscola) immaginata, osannata e definitivamente consacrata a madre di tutto quanto è udibile. inestricabile il groviglio sinistro di patterns del sax di Lurie a disegnare quell’immaginifico che è stato un tutt’uno con il suo comporre soundtracks e ripercorrere a ritroso la via verso questo pensiero primordiale della musica afroamericana, un pensiero bianco, newyorkese e domestico.
siamo orfani di questa possibilità di procedere oltre in questa ricerca (come già detto la carriera di Lurie si è fermata per una malattia degenerativa): la tensione creativa di John Lurie verso questa matrice africana aveva già prodotto quel capolavoro inarrivabile che è rappresentato dalla burla guascona di Marvin Pontiac. di qui in avanti ci resta la sua arte pittorica (sua la copertina del disco) ma non riesco a compararla propriamente alla sua musica, il succedaneo non ha effetti guarenti.
sapevamo già che The Invention Of Animals non avrebbe contenuto materiale nuovo e quindi non resta che guardare (ed ascoltare) la parte inferiore del bicchiere (quella mezza piena) e stordirsi di tanta meraviglia.
continua a mancarmi John Lurie.
buon ascolto

 

Pubblicato in 2014 | 14 commenti

la radio uabab #45

Radio Sonora
la radio uabab #45
venerdì 17 gennaio 2014 ore 21,00
(replica sabato 18 gennaio ore 21,00)
p o d c a s t

cover
Muévela
Abelardo Carbonó
El Maravilloso Mundo de… (Vampisoul/Munster Records, 2013)
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CAPA_FRENTE-300x300

Ubuntu Fristili
Emicida
O Glorioso Retorno de Quem Nunca Esteve Aqui
(Laboratório Fantasma, 2013)

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Africa Express Presents- Maison Des JeunesSeason Change
Ghostpoet & Doucoura
Africa Express Presents: Maison des Jeunes
(Transgressive Records, 2013)

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From Another World- A Tribute to Bob DylanAll Along The Watchtower
Eliades Ochoa
From Another World: A Tribute To Bob Dylan
(Buda Musique, 2013)
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René Aubry


Séduction
René Aubry
Forget Me Not (René Aubry, 2013)
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Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2013/2014 | 1 commento

René Aubry
Forget Me Not

“Contro il logorio della vita moderna il tonico Aubry continua a funzionare a meraviglia. (…) Aubry è rimasto tra i pochi a saper fermare il mondo almeno per un istante.”
(Piercarlo Poggio, Blow Up #188 Gennaio 2014)

con queste parole si apre e si chiude la recensione di Piercarlo Poggio a cui affido il compito di dire parole definitive sull’artista francese ed il merito di non averlo perso di vista in questo mare magnum di uscite discografiche e di artisti (raramente all’altezza di Aubry). perché Aubry, vuoi per innata scaltrezza o nobile eleganza, è uno di quei personaggi che tende a defilarsi e a far perdere le sue tracce: per trovarlo bisogna cercarlo (pare banale ma non lo è) negli interstizi della rete e negli angoli più reconditi di quest’Europa che ama distrarsi.
succede così che volutamente mi reco sul suo sito; perché mi dico che da troppo non ho sue notizie e che un nuovo disco farebbe all’uopo (vuoi come balsamo o come tonico, appunto), e per nostra fortuna eccolo lì il nuovo disco di cui quasi nessuno si è accorto, escluso Piercarlo Poggio naturalmente… e anche me. dunque si procede all’acquisto pressoché a scatola chiusa, perché delle persone scaltre e schive ci si fida eccome, almeno da queste parti.

René Aubry

Forget Me Not (René Aubry/Believe Digital, 2013) è in realtà un ritorno ad una colonna sonora teatrale che già compose il musicista loreno per lo spettacolo Ne m’oublie pas (1992) dell’autore Philippe Genty. 7 attori in scena a danzare e muoversi coordinati dalle musiche di Aubry: ora succede che alcuni allievi di Jacques Lecoq chiedono a Philippe Genty di poter riportare in scena lo spettacolo in quel di Verdal, nord della Norvegia. Genty acconsente e quando viene a chiesto ad Aubry di poter utilizzare le musiche di scena lui decide invece di comporne di nuove appositamente per il moderno allestimento, le persone scaltre e schive riservano sorprese inattese.
ambientazioni cinetiche a sottolineare i movimenti degli attori (che nel frattempo sono diventati dodici) che si muovo assai più dinamicamente rispetto alla pièce originale, ma non è di uno spettacolo non visto che mi metterò a parlare. delle musiche però è giusto dire che sono impastate con pianoforte, chitarre e mandolini, compare qua e la un banjoline ed un cuatro, un carillon e un sax (sporadico) che s’infuria, poca elettronica per mescolare il tutto e tanta eleganza per mantenere la leggerezza delle composizioni preziose. vi è anche una lingua maccheronicamente nordica che nulla significa ma che sottolinea coralmente i passaggi dei balletti.

aubry

ennesimo saggio di bellezza e bravura (non ce n’era bisogno Monsieur Aubry) per alcune composizioni che meritano certamente di uscire dal semplice ruolo di colonna sonora: la grande musica europea è tale quando è capace di coniugare il colto ed il popolare, la semplicità di un ritmo folclorico con l’esile struttura di una costruzione armonica. René Aubry è capace di fare ciò, di creare quel tonico in grado di ricostruire lo spazio privato di un’intimità da difendere da quel logorio di cui sopra; come aprire ed annusare un libro, mescolare un caffé o spegnere il mondo di fuori.
mi verrebbe da dire bentornato se non fosse che René Aubry non se ne è mai davvero andato, si è semplicemente defilato come fanno spesso le persone scaltre e schive.
buon ascolto

Pubblicato in 2013 | 3 commenti

Africa Express
Africa Express Presents: Maison Des Jeunes

credo sia oramai noto ai più che i primi giorni dell’anno che inizia siano consacrati alla discoperta di quei dischi (colpevolmente o meno) sfuggiti e a rischio annegamento nell’oblio; e dunque, ben lungi da me la volontà di trasgredire alle tradizioni, ecco giungere il primo salvataggio dal mare di cui sopra.
il pronto soccorso è ancora più gradito perché tende la mano alla cara madre Africa e più in particolare a quel Mali ferito ed offeso nei mesi precedenti: deve essere stato questo il pensiero che ha mosso la carovana di Damon Albarn a trasferire strumenti ed amplificatori in quel di Bamako presso la Maison Des Jeunes nell’ottobre scorso. il progetto Africa Express è il sogno segreto e coccolato dall’ex cantante dei Blur, il desiderio di mescolare ulteriormente le infinite possibilità della grande musica africana alle frange più oltranziste dell’establishment musicale occidentale. ed è giusto sottolineare la tenacia con la quale il caro Damon persegue questo lucido miraggio; in una sola settimana di residenza ecco nascere questo gioiello di musiche africane (maliane) pronte ad esplodere nelle orecchie dei pigri abitanti dell’occidente.

Africa Express Presents- Maison Des Jeunes
Africa Express – Africa Express Presents: Maison des Jeunes (Transgressive Records, 2013) è il resoconto del viaggio di Damon Albarn a Bamako accompagnato da fiduciosi compagni di viaggio: Brian Eno (per non fare nomi altisonanti), Nick Zinner (degli Yeah Yeah Yeahs), il produttore Two Inch Punch e il rapper afrobritannico Obaro Ejimiwe, noto ai più con il nome di Ghostpoet, per citarne solo alcuni. alla Maison des Jeunes di Bamako hanno incontrato vecchi e nuovi talenti della variegata tradizione maliana che si estende dalle chitarre taglienti del blues desertico fino ai giovani virgulti dell’hip-hop autoctono passando per la grande epopea mandinga.
hanno ascoltato le loro intuizioni, le hanno fatte collidere con le fragili consuetudini musicali occidentali e le hanno prodotte cercando di cogliere quel quid sfuggente che proiettasse questo incontro ben oltre la somma dei due addendi.

dalla hit desertica (scelta come primo singolo) Soubour eseguita dai Songhoy Blues (e prodotta da Nick Zinner assieme a Remi Kabaka) passando per il gioiello iridescente Season Change (interpretato da Ghostpoet assieme al gruppo percussivo Doucoura) prodotto da Two Inch Punch, nel disco vengono snocciolate in fila indiana 11 deliziose meraviglie panafricane o più propriamente maliane.
perché in occidente le mode sono sfuggenti e passeggere e dimenticarsi dell’Africa (musicale e non) è una delle colpe peggiori di cui è capace il “primo” mondo: Damon Albarn invece, con quella faccia da Lucignolo, sembra per assurdo prenderci per le orecchie asinine e ricondurci proprio la dove non si dovrebbe mai smettere di ascoltare.
e buon ascolto dunque

Pubblicato in 2013 | 5 commenti