la radio uabab #21

Radio Sonora
la radio uabab #21
venerdì 29 marzo 2013 ore 21,00
(replica sabato 30 marzo ore 21,00)
p o d c a s t


Pop HD
Atom™
HD (Raster-Noton, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


A White Shadow Passes
Mike Cooper
White Shadows In The South Seas (Room40, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


S
onar Toy
Mikrokolektyw
Absent Minded (Delmark, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


Yearning
Nicole Mitchell’s Ice Crystals
Aquarius (Delmark, 2013)
more details
( ( ( ) ) )

Who Would Have Thought This Callous History Would Become My Skin
Jim O’Rourke / Keiji Haino / Oren Ambarchi
Now While It’s Still Warm Let Us Pour In All the Mystery (Black Truffle Records, 2013)
more details ( ( ( ) ) )


(il suono carsico)
Ø (Mika Vainio)
Olento (Sähkö Recordings, 2013 [1996])
more details
( ( ( ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 3 commenti

Omnivore
Omnivore

chi ha abbastanza primavere da ricordarsi un tempo in cui gli apparecchi telefonici avevano i fili, avrà certamente memoria di esperienze fatte con quell’oggetto fascinoso e (per certi versi) misterioso che troneggiava nelle nostre case. chi alzava la cornetta solo per sentire quel tu tu tu tu ipnotico, chi infilava le dita nel disco combinatore per vedere la rotella ritornare alla posizione iniziale oppure chi, come tutti, componeva numeri a caso e magari si divertiva a fare quegli ingenui scherzi telefonici oramai dimenticati nell’oblio. in ognuno di questi casi non veniva certo a mancare quel senso di venerazione e di rispetto che deve aver contagiato anche l’artista americana Glenna Van Nostrand, della quale non conosco l’età anagrafica, ma che con l’apparecchio in questione ha stabilito un rapporto artistico speciale. americana, diplomatasi nel 2008 presso il College of Art and Design del Massachusetts con progetti elettronici aveva in realtà già iniziato a trafficare precedentemente con vecchi telefoni, radio e telegrafi sperimentando un medium che sarebbe divenuto da lì a poco la sua essenziale cifra stilistica.

Glenna Van Nostrand si cela (artisticamente) dietro il moniker di Omnivore e ha fatto uscire nella primavera del 2012, solo in vinile, il suo debutto omonimo per l’etichetta Feeding Tube Records. il disco esce anche in questo 2013 in versione digitale e a dire il vero già nel 2009 le 10 tracce che compongono il disco circolavano già in rete sotto altre forme e denominazioni; segno questo di una bella caparbietà e in una fiducia ferrea in progetto che necessitava un giusto tempo per raggiungere un pubblico più vasto degli amici e conoscenti.
ma di cosa stiamo parlando? si tratta di canzoni, così come ogni giovane cantautore prova a fare nella palestra della propria cameretta. ma queste canzoni sono cantate dentro la cornetta di un vecchio apparecchio telefonico e processate attraverso una trasmittente radiofonica: canzoni composte per stratificazione raddoppiando, triplicando e sovrapponendo la propria voce fino a tessere un vero paradigma a cappella per sola voce e telefono. un gospel in teleselezione senza l’aggiunta di nessun strumento musicale se non, in un paio di episodi, la tastiera del telefono ed i tipici scatti ad impulso (variazioni di impedenza) della selezione. 10 canzoni piene di anima soul (direi quasi blackness) malgrado la chioma biondissima della fanciulla, 10 conversazioni con materia a bassissima definizione, assai più che lo-fi ma di un gusto e di un meraviglia aggraziata e consapevole.

Omnivore è un lavoro piacevole che possiede almeno tre doti: innanzitutto il senso della misura che avrebbe rischiato di annegare nella prolissità un procedimento fragile e semplice sempre sul rischio di infrangersi fra le mani, poi l’irrefrenabile forza di un’idea che ha nella sua stessa natura l’ingenuità di un gioco infantile e l’epifania delle avanguardia. e per ultimo è bene annotare il talento melodico e compositivo di questa bionda fanciulla capace di armonizzare, arrangiare e produrre (tutta soletta) un piccolo canzoniere tascabile, da eseguire al telefono e da ascoltare (questo e solo questo sì!) attraverso il piccolo altoparlante gracchiante di un cellulare.

non so bene come si svolgano i live di Glenna Van Nostrand / Omnivore (su youtube vi è un video risalente all’anno scorso) ma è certo che il palcoscenico potrebbe trovar posto dentro una di quelle vecchie cabine telefoniche sature di odori e di parole intense: magari gli ascoltatori potrebbero collegarsi da casa con una interurbana e se dovesse cadere la linea si può ricomporre il numero col rischio di trovare occupato o con la fortuna di rimettersi in ascolto.
tu tu tu tu tu tu tu tu tu …

Pubblicato in 2012, 2013 | 2 commenti

la radio uabab #20

Radio Sonora
la radio uabab #20
venerdì 22 marzo 2013 ore 21,00
(replica sabato 23 marzo ore 21,00)
p o d c a s t


Fly
Micah Gaugh
The Blue Fairy Mermaid Princess (Africantape, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


Let I Go feat. Anthony Joseph
Mop Mop
Isle Of Magic (Agogo, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


Broken Pieces feat. Jamie Lidell
Brandt Brauer Frick
Miami (!K7, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


Chocolate Mountain In Your Eye
Koch-Schütz-Studer With Shelley Hirsch
Walking And Stumbling Trough Your Sleep (Intakt, 2013)
more details
( ( ( ) ) )

Um Um Um
Leon Thomas
The Creator 1969-1973: The Best Of The Flying Dutchman Masters (Ace Records, 2013)
more details
( ( ( ) ) )


(il suono carsico)
The Heliocentrics
13 Degrees Of Reality (Now-Again, 2013)
more details
( ( ( ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 5 commenti

la radio uabab #19

Radio Sonora
la radio uabab #19
venerdì 15 marzo 2013 ore 21,00
(replica sabato 16 marzo ore 21,00)
p o d c a s t


Trust In Me (The Phyton’s Song)
Sterling Holloway
The Jungle Book (Soundtrack) Remastered (Walt Disney, 1997)
more details
( ( ( ) ) )


Duerme Negrito
Atahualpa Yupanqui
Duerme Negrito, Alma de Argentina (Caravage, 2009)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


I Wrote This Song For The Girl Paris Hilton
Vincent Gallo
When (Warp, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Sele Sene Seolet
Alému Aga
Ethiopiques 11: The Harp Of King David (Buda Musique, 2002)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Gymnopédies 1. Lent Et Douloureux

Érik Satie (Aldo Ciccolini, piano)
Érik Satie: Works for Piano Vol.1 (EMI, 1986)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Peace Piece

Bill Evans
Refined Lard: A Trunk Records Sampler (Trunk Records, 1986)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


(il suono carsico)
more details

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 10 commenti

Mike Cooper
White Shadows In The South Seas

nel lasso di tempo intercorso fra la realizzazione di Rayon Hula (era il 2004) ed il concepimento di questo White Shadows In The South Seas (in imminente uscita) l’aggettivo hypnagogic ha fatto in tempo a manifestarsi, sedimentarsi e, al fine, diventare suo malgrado genere benché tentare di definirlo sia ancora esercizio più da equilibristi della parola che da critici. Mike Cooper (perché è di lui che ritorno lietamente a parlare) non credo che avesse in mente quell’aggettivo quando realizzò quel disco straordinario (di cui ebbi già a dire) affogato nei sogni e nei suoni oceanici; se proprio si volesse dare dell’hypnagogico al mondo di Mike Cooper è bene ricordare che lo era assai prima che David Keenan coniasse il termine e che, con buona probabilità, continuerà ad esserlo quando tutti si volteranno altrove rimirando l’ennesimo dito che indica la luna.
nonostante questo il sito dell’etichetta australiana Room40 (che pubblica entrambi i dischi) non esita a definire questo nuovo lavoro “the follow up to Mike Cooper’s now legendary hypnogogic oceanic dream Rayon Hula”. li perdoniamo perché il materiale che hanno per le mani è pur sempre straordinario e pure perché vendere dischi resta ancora lo scopo ultimo di un’etichetta discografica.
ma per nostra fortuna Mike Cooper è già altrove sebbene non si sia spostato da dove sempre è rimasto: il suo sogno oceanico procede, il suo incedere Pacifico frutta ancora suoni e suggestioni.

White Shadows In The South Seas (Room40, 2013) prende in realtà le mosse dalla sonorizzazione da parte di Cooper di una vecchia pellicola del 1928 diretta da W. S. Van Dyke e Robert Flaherty ambientata nelle Isole Marchesi, pensata alle Samoa e filmata a Tahiti e che porta il medesimo titolo (sul sito personale del chitarrista maggiori dettagli ed una brano del film). l’instancabile curiosità ed attrazione di Cooper per quelle terre (per quelle acque) non conosce soste; il suo studio è assiduo e meticoloso, i suoi viaggi frequenti. ma per nostra fortuna invece di saggi da rivista scientifica il nostro amato Mike Cooper ci restituisce cartoline sonore sognanti, marchingegni ornitologici tascabili, delizie liquide dense di torpore e di esotismo.
per chi conosce e ama Rayon Hula non dovrebbero necessitare ulteriori spiegazioni, se non che in questo nuovo disco si innalza e si rimarca leggermente la componente ritmica, ma non siamo lontani  da quegli stessi paesaggi che già descrissi. a chi non lo conoscesse giunga la mia invidia per la loro emozione di raggiungere un luogo inesplorato!
non è un seguito, non può esserlo in quanto il flusso improvvisativo di Cooper non conosce stanchezza, principio e neppure epilogo: gli basta qualche registrazione forestale, alcuni aggeggi elettronici sobri e la sua straordinaria chitarra processata per condurre laddove nessuno è mai stato, verso suoni percepiti nelle vacanze oniriche di chi si è appisolato sognando di sognare un sogno di una possibile Oceania. se poi lo si vuole chiamare hypnagogico lo si pùo fare, ma per me resta sempre e solo la meravigliosa musica di Mike Cooper.
buon ascolto

Pubblicato in 2013 | 1 commento

Mop Mop
Isle Of Magic

chi ha la benevolenza di frequentare questo blog potrebbe sapere che il nome di Anthony Joseph è in grado di far sobbalzare i miei padiglioni auricolari, di procurare la celebre “ebbrezza dei tendini” (Jannacci docet) e di restituire gioia, pace e fiducia nel mondo. per questo motivo attendo ogni suo disco con spasmodica frenesia e vado segugio alla ricerca di ogni sua possibile manifestazione: libri (da non dimenticare la sua carriera letteraria), podcast, interviste, video e, quando si è fortunati collaborazioni musicali.
oggi è uno di quei giorni fortunati in cui mi imbatto nel nome di Anthony Joseph in qualità di featuring in un progetto nato in Italia ma che ha nel panorama internazionale l’orizzonte più congruo. in più, se si volesse sfoggiare un poco di inutile campanile romagnolo, si potrebbe rammentare che il progetto Mop Mop ha nel cesenate Andrea Benini il suo creatore, artefice, mentore e cuore pulsante e battente. dopo un terzetto di dischi (a partire dal 2005) ed una serie di Ep e remix ecco giungere quello che (probabilmente) sarà il salto sulla ribalta del collettivo italiano grazie anche alla collaborazione con il personaggio sopra citato e con un altra leggenda vivente del funk che porta il nome di Fred Wesley.

Mop Mop Isle Of Magic (Agogo, 2013) ha già palesata in copertina la direzione verso la quale si dirigeranno i nostri ascolti. una densa oscurità sensuale, africana, rituale, suadente: insidiosa come una serpe e attraente come uno sguardo, percussiva, languida e viziosa. un groove appiccicoso in cui ci si invischia al primo ascolto: funk, jazzy, exotica e ritmi caraibici mischiati ad un voodoo benfico, afro-funk e con l’anima soul esposta agli effluvi tropicali. artefici di questa alchimia salvifica sono Andrea Benini (percussioni, voce), Alex Trebo (tastiere, moog), Pasquale Mirra (vibrafono, marimba), Guglielmo Pagnozzi (clarinetto, flauto), Salvatore Lauriola e Lorenzo Ternelli (basso elettrico) e Danilo Mineo (percussioni) ai quali si affiancano le preziose collaborazioni trascritte come in un bugiardino sul retro di copertina: posologia, dosaggio e controindicazioni di una medicina sana per muscoli e membra altrettanto sane.

Anthony Joseph si manifesta vocalmente e spiritualmente in tre brani del disco (in Run Around in concomitanza di Fred Wesley) e porta l’impasto sonoro del collettivo ad una vertiginosa lievitazione naturale, innalzando il tasso di anima blackness dove più in alto non si potrebbe: felice e necessaria collaborazione che potrà dare all’ensemble italiano una giusta visibilità internazionale. da non dimenticare neppure la voce di Sara Sayed nel brano Loa Chant ma non sarebbe elegante fare paragoni.

una felice occasione live a visto i Mop Mop esibirsi assieme ad Anthony Joseph nel giugno 2012 presso il Club Der Visionäre di Berlino (dove Andrea Benini risiede), e se qualcuno titubasse ancora in proposito alle capacità taumaturgiche del vocalist afro-caraibico spenda otto minuti nella visione di questa Let I Go eseguita dal vivo.

piacevole sorpresa dalle capacità guaritrici questa Isola Magica, approdo necessario e cibo salvifico, come un’ostia benedetta dal ritmo e dal groove!
mi verrebbe da dire “prendetene e mangiatene tutti” se non fosse vagamente blasfemo e inadeguato al contesto temporale, ma non è un problema mio e poi del resto ognuno ha la religione che si merita!
mi limiterò dunque ad un più consueto: buon ascolto!

Pubblicato in 2013 | 8 commenti

la radio uabab #18

Radio Sonora
la radio uabab #18
venerdì 8 marzo 2013 ore 21,00
(replica sabato 9 marzo ore 21,00)
p o d c a s t

In Lure Of The Tropics
Dr. John
Son Of Rogue’s Gallery: Pirate Ballads, Sea Songs & Chanteys
(ANTI, 2013)

more details
( ( ( ) ) )


It Is Gas, Inspector Palmu
Kalle Kalima
Finn Noir (Enja/Yellowbirds, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Old Friends Inst.
F.S.Blumm & Nils Frahm
Music For Wobbling/Music Versud Gravity (Sonic Pieces, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Lonely Woman
Benoît Delbecq and Fred Hersch Double Trio
Fun House (Songlines Recordings, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Oumletna (La Mone)
Orchestre National De Mauritanie
Orchestre National De Mauritanie (Mississippi/Sahelsounds, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


(il suono carsico)
Lloyd Cole / Hans-Joachim Roedelius
Selected Studies Vol.1 (bureau b, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 1 commento

Klima Kalima
Finn Noir

lassù in alto, in Finlandia, prima poi si dovrà andare, non fosse altro per le continue suggestioni che da la giungono: le distrazioni sono sempre assai numerose, ma con frequenza luciferina giunge uno spiffero che fa voltare lo sguardo e le orecchie verso nord. questa volta è il turno di un disco che sin dal titolo dichiara esplicitamente luogo e tinta dell’epifania sonora: Finn Noir gioca linguisticamente con un genere cinematografico ben preciso e, nello stesso tempo, indica senza possibilità d’errore il luogo geografico dove atterreremo.

Klima Kalima è il nome del trio che il chitarrista elettrico Kalle Kalima ha formato da qualche tempo assieme al contrabbasso di Oliver Potratz e al batterista Oliver Bernd Steidle. tutti e tre finlandesi naturalmente e tutti e tre appassionati di cinema, jazz e amanti del proprio paese; esordirono nel 2004 con un inequivocabile Helsinki On My Mind (2004) a cui fece seguito nel 2010 Loru (con la partecipazione di Jimi Tenor).
è ora il turno di questo Finn Noir (Enja/Yellowbirds, 2012) ispirato a tre grandi registi noir del cinema finlandese: Matti Kassila, Aki Kaurismäki and Mikko Niskanen. dei tre credo solamente quello di mezzo non abbia bisogno di presentazioni, non fosse altro perché ci è contemporaneo e probabilmente è il più noto al di fuori del territorio nazionale. in cosa consiste l’operazione di Kalle Kalima? è lui stesso a spiegarlo nel suo blog; le visioni dei film di questi registi hanno creato la suggestione e l’ispirazione per comporre alcune musiche che potrebbero rappresentare colonne sonore alternative a quelle di quegli stessi film. ecco dunque un jazz elettrico e cinematico, nervoso e suadente, punteggiato di tango e di punk rock a provare a raccontare nuovamente le vicende de La Vie de Bohème, di Ariel o di Calamari Union. oppure sostenere e punteggiare le indagini del Komisario Palmu assai celebre personaggio letterario e televisivo finlandese.

atmosfere notturne, tanghi dinoccolati, tensioni elettriche e nostalgie per trio jazz: tutto scorre alla perfezione e mancano davvero solo le immagini in bianco e nero a cui dare voce. ma il disco mi ha scatenato una strana voglia (si parlava di tentazioni luciferine) di riascoltare le colonne sonore originali dei film di Aki Kaurismäki e mi sono ricordato di avere da qualche parte un doppio dal titolo Jukebox – Music In The Films Of Aki Kaurismäki uscito nel 2006 per l’etichetta Megamania.

dove si sarebbero potuti incontrare Joe Strummer, Carlos Gardel, Fred Gouin e i Renegades se non in un film di Kaurismäki? il doppio è micidiale come un’intera bottiglia di vodka finnica: tanghi (forse non tutti sanno che dopo l’Argentina il paese più densamente abitato dal tango è proprio la Finlandia), arie d’opera, metal e rock kitsch, languide ballatone, tradizionali sovietici, canzoni d’amore, rockabilly finlandese e gli immancabili Leningrad Cowboys.

e se una bottiglia di vodka finnica tira l’altra è giusto che ritorni qui a parlare di Markku Peltola: lo feci già su questo stesso blog cinque anni addietro quando mi giunse la triste notizia della sua dipartita, ma oggi come allora non è del suo cinema o di tristi notizie che vorrei parlare quanto piuttosto di due dischi che incise con il gruppo che portava il suo nome affiancato a quello di Buster Keaton. sia Markku Peltola / Buster Keatonin Ratsutilalla (Ektro Records, 2003) che il successivo Markku Peltola ‎/ Buster Keaton Tarkistaa Lännen Ja Idän (Ektro Records, 2006) paiono letteralmente scomparsi nel grande mare della musica liquida, affondati o annegati come un battello ebbro. due dischi splendidi. scrissi allora “musica strumentale, acustica o semi-acustica, sghemba e sgangherata come certe bande da dopolavoro che si ritrovano più per bere e scaldarsi dal freddo del lungo inverno finnico. fiati stracchi e latini, chitarroni da fiesta chicana, tamburi da parata e archi pizzicati.” e confermo oggi che ancora non ho smesso di ascoltarli.

a cotanto peccato rimedio qui sotto anche perché le musiche contenute in quei due dischi sono il più denso aleph immaginifico attraverso il quale mi pare di immaginare la terra di Finlandia a cui prima o poi si dovrà approdare.
e se non è ancora tempo di partire si può pur sempre desiderare da quaggiù.
buon ascolto

Pubblicato in 2012 | 10 commenti

la radio uabab #17

Radio Sonora
la radio uabab #17
venerdì 1 marzo 2013 ore 21,00
(replica sabato 2 marzo ore 21,00)
p o d c a s t


Moussa Berkiyo – Koubaliy Beriah La’ Foh
Maleem Mahmoud Ghania With Pharoah Sanders
The Tance Of Seven Colors (Axiom, 1994)
more details
( ( ( ) ) )


Zombizar Reloaded
Barney Wilen
Moshi Too (Sonorama, 2013)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Baro 101-b
Mats Gustafsson, Paal Nillsen-Love, Mesele Asmamaw
Baro 101 (Terp, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Charrag, Gattaa (Dechire, Lachere)
Cheikha Remitti
Aux Sources Du Raï (Institute Du Monde Arabe, 2000)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Calling The Dogs
Tony Scott
In Afrika / Mayibue Afrika! Uhuuru (Music Of The World, 1996)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


(il suono carsico)
Chris Watson
Weather Report (Touch, 2003)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 4 commenti

Nuru Kane
Exile

è capitato a tutti (credo) di cadere vittima di un brano killer (in terra italiota lo chiamano tormentone). non mi riferisco a quelle hit che nello spazio di poche settimane invadono radio, televisioni e spot, ma piuttosto di un brano a stretto uso personale, quasi privato, non necessariamente di consumo diffuso. un brano ascoltato per caso, inavvertitamente, che si appiccica addosso con fare mieloso ed ottuso, qualcosa da ascoltare in loop, inebetiti. a me capitò nella primavera 2010 con questo brano…

Nuru Kane Number One Bus, autore e titolo del brano (e del disco) che uscirono nel 2010 per l’etichetta Iris Music. l’ho ascoltato assai incapace di spiegarmi lucidamente il perché di tanto ardore: forse quella bella chitarra dal ciondolare maliano, o per la voce diseducata e rauca, o per quel piglio alla Nesta Marley o per tutte queste cose assieme. fatto sta che ne godetti appieno senza farne menzione ad alcuno, silenzio sul blog e solo con un buon annetto di ritardo lo pubblicai su uabab (qui).
ma il nome di Nuru Kane è rimasto annotato nel mio taccuino personale nell’attesa di un futuro disco che disvelasse meglio e più compiutamente il significato di tanta dissennata passione. sapevo da qualche tempo che il 25 febbraio 2013 era la data prevista per il suo nuovo lavoro per l’etichetta Riverboat e così ieri sera ho proceduto all’acquisto a scatola chiusa.

Nuru Kane è un ragazzo senegalese nato nei ’70 nella capitale Dakar, la sua mamma lo chiama Papa Nouroudine Kane ma un buon nome d’arte è il giusto viatico per affrontare l’emigrazione che accomuna da decenni molti figli d’Africa. già nel ’90 è a Parigi con la sua chitarra, ma la kora e le percussioni del suo paese lo attraggono: in più un viaggio in Marocco produrrà la scintilla per innamorarsi del guimbri strumento principe della tradizione musicale gnawa. forma a Parigi i Byefall Gnawa assieme a Djeli Makan Sissoko al n’goni e tama e Thierry Fournel all’oud, alla chitarra e alla sanza. l’invito del gruppo al celeberrimo Festival Du Desert nel Mali (era il 2004) pone Nuru Kane sotto le attenzioni della Riverboat Records e lo scopo del nostro ambizioso protagonista è praticamente raggiunto. esordio nel 2006 con Sigil (Riverboat) e secondo disco nel 2010, Number One Bus appunto.

Exile (Riverboat, 2013) esce dunque ora con un certo carico di attese sia da parte mia che di tutti coloro che continuano a porgere i padiglioni auricolari al grande continente. Exile, è bene dirlo, è figlio di quel meticciato sonoro di cui Nuru Kane si vuol fare bandiera, un mix di culture che il nostro pretende di incarnare ed abbracciare in un sol colpo: forse qui risiede il pregio ed anche il limite di tanto desiderio. nello spazio di 11 brani si passa dal Medio Oriente al blues (sia quello afroamericano che quello maliano), dalla gnawa al reggae (con declinazioni ragamuffin’ e ska), dalla spiritualità sufi ad una sbandata gipsy ispanica (il picco più basso del disco). il tutto è però tenuto assieme dall’entusiasmo di Nuru Kane e dalla sua voce che si staglia netta ed adulta e che oramai non ha timore a cantare in wolof, in francese, in inglese e pure in spagnolo (sic!).
tanti gli strumenti, almeno quanto le direzioni a cui si rivolge il disco: chitarra, oud, kora, n’goni e guimbri fra i cordofoni, calabasse, bendir e djembe fra le percussioni e poi mbira, nacchere e chissà cos’altro!

il ragazzo conosce da tempo il mercato occidentale e sa come ammaliarlo: la produzione è pettinata ed educata, i suoni ammorbiditi all’uopo e le divagazioni sapientemente dosate. è un poco lontana l’urgenza scazzata e divertita di quel singolo che mi innamorò ma il ragazzo sta crescendo ed era bene tenerlo d’occhio.
al solito lo dispongo all’attenzione di coloro che ancora porgono i padiglioni auricolari verso la terra d’Africa (come si diceva sopra), e buon ascolto.

Pubblicato in 2013 | 6 commenti