la radio uabab #9

Radio Sonora
la radio uabab # 9
venerdì 7 dicembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 8 dicembre ore 21,00)
p o d c a s t


The Book Of Pleasure
John Zorn
The Gnostic Preludes (Tzadik, 2012)
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Mediums
Vincent Courtois, Daniel Erdmann & Robin Fincker
Mediums (La Buissonne, 2012)
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Les Alpes Vues De Paris
Matthias Schriefl
Six, Alps & Jazz (ACT Music, 2012)
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Hotel Aurora
Tin Hat
Music For Film (Self Released Sundance Festival, 2011)
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Swedish Country
Ballrogg
Cabin Music (Hubro, 2012)
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(il suono carsico)
Sir Duke
Bill Ware (Knitting Factory, 2001)
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la radio uabab #8

Radio Sonora
la radio uabab # 8
venerdì 30 novembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 1 dicembre ore 21,00)
p o d c a s t


Atardecer
Federico Durand
El Libro De Los Árboles Mágicos (Home Normal, 2012)
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Jukai (Sea Of Trees)
Eivind Aarset
Dream Logic (ECM, 2012)
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Pod Światło
Jacaszek
Glimmer (Ghostly International, 2011)
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All The Rain That Pardons
Vieo Abiungo & Pete Monro
Thunder May Have Ruined The Moment
(
Lost Tribe Sound, 2012)
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Long Gone
Nicholas Szczepanik
We Make Life Sad (Wémè Records, 2012)
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All You Are Going To Want To Do Is Get Back There
The Caretaker
An Empty Bliss Beyond Thi World
(History Always Favour The Winner, 2011)
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(il suono carsico)
Sleep
DJ Olive (Room 40, 2006)
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Han Bennink Trio
Bennink & Co.

la prima volta che vidi Han Bennink suonare dal vivo non potei non pensare a Jacques Tati: la più che vaga somiglianza fisica, l’incedere allampanato e l’innata capacità di suscitare il sorriso infantile ai propri simili mi fecero immediatamente chiudere uno di quei circuiti mentali virtuosi con i quali mi trastullo e mi diverto.
l’anima guascona da guitto Han Bennink l’ha sempre avuta e ancora di più la mostrava allora (quando lo vidi) in compagnia di Michael Moore e Ernst Reijseger in quel meravigioso incontro di folli che fu il Clusone Trio. i più cattivi detrattori mi raccontano che il batterista olandese è oramai costretto a recitare la parte di sé stesso e di andare in scena per fare il buffone: ma io non gli credo e a conferma di tutto questo vi sono le meravigliose esperienze con The Ex e i frequenti viaggi (concerti, dischi, esibizioni) in terra Etiope, nonchè il suo nome che spunta fuori al fianco di grandi musicisti in lungo ed in largo per questa terra d’Europa.
e allora è bene seguirlo anche ora che si è messo in testa di pilotare un trio a suo nome chiamando a sé gli stessi musicisti con cui tre anni fa registrò per la danese Ilk Music il disco ParkenSimon Toldam al pianoforte e Joachim Badenhorst ai sax e clarinetto. Bennink si siede e si scompone dietro la sua batteria che oramai sembra sempre più uno di quei giocattoli fatti solo di rullante e cassa e niente di più: in questo nuovo disco non vi è neppure l’eco di un piatto percosso!

il trio così prende la ragione sociale dell’olandese sfavillante ed il disco il titolo della società per azioni swinganti. Han Bennink Trio Bennink & Co. (Ink Music, 2012) ha così l’imprinting ritmico e visionario del batterista che pare guidare i due assai più giovani di lui ben all’interno di quella camera zeppa di giocattoli ritmici che è la sconfinata arte percussiva di Bennink. i tre cofirmano tutti i brani e si concedono uno standard a nome Billy Strayhorn (A Flower Is a Lovesome Thing). un costante ritmo da locomotiva alimentata a tabacco da pipa sembra trasportare avanti e indietro i due giovani musicisti, dallo swing all’improvvisazione, dalle marchin’ band ad un buon concettualismo da interno. non mancano gli urletti onomatopeici che hanno reso celebre Bennink, i mugugni, i cenni di assenso e quel gramelot che assomiglia ancora una volta alla perizia acustica con cui Tati sonorizzava le sue scene. i tre paiono suonare a memoria mettendosi in fila dietro al burattinaio, gli scarti sono improvvisi e divertenti, i salti arditi; se proprio debbo esprimere una critica rimpiango un poco l’inesauribile vena melodica che alimentava il Clusone Trio, ma quello era un trio e questo è già altro. in mezzo ad unire il tutto Han Bennink ancora sorridente come un bimbo e indiavolato sopra il suo rullante. è lui a disegnare la copertina, è lui a fischiettare sopra l’unico solo di batteria (Postlude to Kiefer and a Piece of Drum) ed è lui a suscitare ancora una volta uno di quei sorrisi che allargano le nostre coscienze sacrificate.
buon ascolto

Pubblicato in 2012 | 3 commenti

la radio uabab #7

Radio Sonora
la radio uabab # 7
venerdì 23 novembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 24 novembre ore 21,00)
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State Of Grace (with Bonnie Prince Billy)
Little Annie & Baby Dee
State Of Grace (Tin Angel, 2012)
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Cabin Boys

The Tiger Lillies
Rime Of An Ancient Mariner (Misery Guts Music, 2012)
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Go ‘Way From My Window

John Jacob Niles
The Boone-Tolliver Recordings (L.M. Dupli-cation, 2012)
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The God Of Gradual Abdication
Jan Bang & Eric Honoré
Uncommon Deities (Samadishsound, 2012)
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The Day The “Conducator” Died (An Xmas Song)
Scott Walker
Bish Bosch (4AD, 2012)
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(il suono carsico)
Piano Music
Simon Jeffes (Zopf, 2000)
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Sundog
Insofar

queste brevi righe partono da un ricordo personale (mi si perdoni) legato ad uno dei primi 5 cd che acquistai (in blocco) non appena mi potei dotare di un impianto modernissimo (per il tempo) idoneo alla lettura dei compact discs. magari qualcuno i cd li ricorda: erano quegli oggetti brutti (e mai saranno belli) di forma circolare, da un lato (sotto) una smorfia riflettente come la faccia di uno specchietto per le allodole e sull’altro alcune scritte relative al disco; nessun essere umano (confessarlo fa bene) ha mai capito come potessero funzionare, ma funzionavano restituendo una musica algida e perfettamente liofilizzata con la (falsa) promessa di durare in eterno.
ebbene, uno di quei 5 dischi era Music From The Penguin Cafe eseguito dalle Penguin Cafe Orchestra mirabilmente capitananta dal compianto Simon Jeffes; quel cd inizio a girare vorticosamente dentro al mio nuovo lettore senza subire le ingiurie del tempo e della polvere e debbo dire che lo posso ancora vedere nella sua bella costa azzurra (nel senso di lato del packaging) dar sfoggio di sé nella libreria qui di fronte a me. la musica dei pinguini entrò per osmosi dentro al mio dna e nessuno da laggiù la smuoverà.

è forse per questo che mi sono affezionato ad Arthur Jeffes, che di Simon è figlio, con lo stesso sentimento con cui si accarezzano i figli degli amici che non ci sono più. anche Arthur è musicista (pianista) e di fronte al grande dilemma dei figli d’arte ha optato coraggiosamente per la via maestra che inizia laddove il padre aveva dovuto abbandonare. 13 anno dopo la scomparsa del leader dei pinguini, il figlio ha ripreso in mano la banda ribattezzandola Penguin Cafe per tornare ad eseguire le sognanti musiche del padre.

di questo passo era quantomeno auspicabile che Arthur Jeffes potesse prendere la via autoriale solitaria, e infatti così è stato. la creatura con la quale affronta il debutto (così lo si può chiamare) prende il nome di Sundog ed è divisa in pari misura con il violinista Oli Langford. il disco si intitola Insofar ed esce in questo 2012 per la Editions Penguin Cafe. pianoforte, harmonium, rhodes (Fender, si intende) e dulcitone per Arthur Jeffes, violino e ring mod per Oli Langford: nulla di più. come si deduce siamo di fronte ad una musica strumentale dal forte impatto cinematico e cameristico allo stesso tempo. qualche vaga reminiscenza di minimalismo, un tocco di britannicità che non guasta e la lezione dei grandi compositori inglesi (e non) più recenti (Nyman e Mertens per non fare nomi).

il disco è godibile, intenso e suonato a viso aperto, con il dovuto coraggio. in cuor mio guardo affettuosamente al figlio di Simon Jeffes e penso (in silenzio) che purtroppo manca il sogno dell’altrove che il padre sapeva infondere alla sua musica. quel tocco straniante e vagamente (fintamente?) esotico che portava lontano in una specie di nostalgia di luoghi sconosciuti.
ma ad Arthur Jeffes (ed al suo Sundog) gli si vuole bene a prescindere e ci tenevo ad annotare questa breve digressione metà biografica (mia) e metà musicale (sua) in questo luogo. buon ascolto.

Pubblicato in 2012 | 4 commenti

la radio uabab #6

Radio Sonora
la radio uabab # 6
venerdì 16 novembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 17 novembre ore 21,00)
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Que Beleza
Tim Maia
Nobody Can Live Forever: The Existential Soul of Tim Maia (Luaka Bop, 2012)
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Sugar Man

Rodriguez
Searching For Sugar Man (Sony, 2012)
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Hey Cowboy
Lee Hazlewood
The LHI Years: Singles, Nudes, & Backsides (1968-71)
(Light In The Attic, 2012)
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Floopy Boot Stomp
Captain Beefheart & The Magic Band
Bat Chain Puller (Zappa, 2012 [1976])
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Golden Circle #317
Terry Callier
First Light: Chicago 1969-71 (Premonitions, 1998)
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(il suono carsico)
Filters, Oscillators & Envelopes 1967-82
Don Preston (Sub Rosa, 2012)
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Little Annie & Baby Dee
State Of Grace

è a notte fonda, quando l’ennesimo giro di liquori ha già fatto il suo dovere che ci si può concedere di salire sopra il palco di un club fumoso e vellutato per interpretare, accompagnati dal pianoforte, alcune canzoni bagnate di lascivia, sordide e dense. è solo allora che la voce potrà prendere la roca inclinazione che le è più consona, il piano concedersi le pause dovute e le canzoni respirare quell’aria malsana che racconta la sensualità delle vite disperate.
su quel palco si possono immaginare Little Annie e Baby Dee: hanno entrambe il physique du rôle per frequentare le zone più torbide della notte. qualche fortunato ha avuto già l’opportunità di vederle dal vivo ed ora giunge il frutto discografico di questo sodalizio saldato sulle reciproche esistenze guascone.

State Of Grace (Tin Angel, 2012) porta la ragione sociale di entrambe, ma è la minuta Little Annie a porre la sua voce contralto dietro al microfono e Baby Dee fa trotterellare le sue dita paffute sui tasti del pianoforte. in realtà c’è un solo duetto fra le due regine (Pain Check) e alcuni controcanti da parte di Baby Dee che si prende la title track per interpretarla con dolente di dolcezza, l’altra versione dello stesso brano vede Little Annie confrontarsi con Bonnie ‘Prince’ Billy nell’eterna contrapposizione fra apollineo e dionisiaco (è giusto citare anche le collaborazioni  di Eric Chenaux , Chris Cundy e Jordan Hunt).

la canzone da cabaret ammicca ad un vecchio teatro tedesco che fu glorioso ed irripetibile, la ballad dolente ricorda il primo Waits e centinaia di musical ammiccanti, il crooning femmineo si specchia nella foto di una Marlene Dietrich in abito di lamè. il trucco sfatto, l’alcool, la vita sghemba ce la mettono le due sagome di Laurel & Hardy virate al muliebre.
Little Annie è in questi giorni al centro esatto dell’occhio di bue che dal loggione la inquadra nel mezzo dell’impiantito del palcoscenico: un film su di lei è pronto ed una autobiografia dal titolo eloquente sono pronti a raccontarla (You Can’t Sing The Blues While Drinking Milk).
a quest’ora non è ancora ora di andare a dormire, buon ascolto.

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la radio uabab #5

Radio Sonora
la radio uabab # 5
venerdì 9 novembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 10 novembre ore 21,00)
p o d c a s t


Soufrière
Arthur H & Nicolas Repac
L’Or Noir (Naïve, 2012)
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Deux Batons
Lo’Jo
Cinéma El Mundo (World Village, 2012)
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Le Papier D’Armenie

R.wan
Peau Rouge (Chapter Two / Wagram, 2012)
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La Solitude
I.Overdrive Trio & Marcel Kanche interprètent Léo Ferré
Et Vint Un Mec D’Outre Saison (Cristal Records, 2012)
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L’Eau À La Bouche
Lulu Gainsbourg
From Gainsbourg To Lulu (Universal, 2011)
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(il suono carsico)
L’ Enfant Assassin Des Mouches
Jeanne-Claude Vannier (Finders Keepers/B-Music, 1972)
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la radio uabab #4

Radio Sonora
la radio uabab #4
venerdì 2 novembre 2012 ore 21,00
(replica sabato 3 novembre ore 21,00)
p o d c a s t

Cuernavaca
Kelan Philip Cohran And The Hypnotic Brass Ensemble
Kelan Philip Cohran And The Hypnotic Brass Ensemble
(Honest Jon’s Records, 2012)
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Where Is Lester?
Yusef Lateef
Roots Run Deep (RogueArt, 2012)
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Dark Reflections

John Surman
Saltash Bells (ECM, 2012)
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Abbay Abbay / Yene Ayal
Getatchew Mekuria + The Ex + Friends
Y’Anbessaw Tezeta (Terp, 2012)
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Folk Song Neptune
Rob Mazurek Pulsar Quartet
Stellar Pulsations (Delmark, 2012)
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(il suono carsico)
Crumbling In the Shadows Is Fraulein Miller’s Stale Cake
William Parker (Aum Fidelity, 2011)
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Arthur H / Nicolas Repac
L’Or Noir

una premessa: se non riuscirò nelle prossime righe a convincere il lettore che in questo post si sta parlando di un disco di ottundente bellezza oscura, il lettore stesso è libero di saltare a piedi pari queste righe per concedersi la catarsi di un ascolto inatteso.
dunque, cominciamo da qui: prendete due monelli della cultura musicale francese, Arthur H, figlio d’arte, cane sciolto, agitatore da più di vent’anni di una eredità musicale (nazionale) greve e splendida allo stesso tempo e Nicolas Repac, musicista insaziabile, chitarrista trasversale e sodale guascone del sopracitato artista, nonché amico e complice.
prendete dunque questi due autori e metteteli a sognare sull’opera di Édouard Glissant lasciandoli incantati di fronte alle delizie afro-caraibiche della sua poesia. lasciate che ai due affiorino sogni inconfessabili, memorie di una educazione musicale costruita sui dischi d’oltralpe dei padri, il fascino del teatro e le parole ingoiate e vissute furiosamente rubandole dai classici della letteratura francese (e non); è assai probabile che da questo incontro possa nascere un disco come questo.

L’Or Noir (Naïve, 2012) è l’oscuro frutto di questo incontro. un gest musicale nato pensando al teatro ed un vagito di recitazione concepito con l’urgenza della musica. poesia nera, carnale, sessuale. la triangolazione schiavista fra la tronfia europa, l’Africa ed i Caraibi. pare l’esegesi di quella Cargo Culte che chiudeva quel disco fondamentale per la cultura musicale (francese e non) che è Histoire de Melody Nelson, la drammatizzazione della grande tradizione teatrale francese, e poi Céline, Stevenson e il cuore di tenebra di Joseph Conrad. afrore della vergogna colonialista e il sogno della negritudine bianca che non ha mai abbandonato i desideri di ogni francese degno di tale nome.
Arthur H recita, sussurra e sospira la poesia sul tappeto artigianale di elettroacustica manuale costruito da Repac; cinéma pour l’oreille, etnografia tascabile. un disco vorticoso che inghiotte per concentrici giri di vertigine. vengono in mente sogni malsani, sudati, febbrili; desideri malarici, incestuosi dentro una giungla umida, densa, femminile.

la rete, al solito, consente visioni e informazioni antecedenti la fruizione di un disco come questo (qui i video e qui il racconto del progetto) ma il mio consiglio, per quel che vale, è raggiungere prima di tutto l’istante epifanico dell’ascolto concedendosi l’oscurità, il silenzio e l’intimità: poi può giungere tutto il resto.
finchè si trovano dischi come questo ha senso continuare a cercare spasmodicamente altre musiche, c’è motivo di cultivare un blog e per certo di non smettere con il vizio del sogno e della curiosità.
buon ascolto

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