la radio uabab #3

Radio Sonora
la radio uabab #3
venerdì 26 ottobre 2012 ore 21,00
(replica sabato 27 ottobre ore 21,00)
p o d c a s t


Miami Maculele
Gal Costa
Recanto
(Universal Music Brasil, 2011)
more details
( ( ( ) ) )


Marcha-Enredo Da Creche Tropical
Tom Zé
Tropicália Lixo Lógico (Passarinho, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Mariô
Criolo
Nó Na Orelha (Independente, 2011)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Afoxoque
Curumin
Arrocha (Six Degrees Records, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Baby Don’t Deny It (Babydoll de Nylon)

Bonde Do Rolê feat. Caetano Veloso and Poolside
Tropicalbacanal (Mad Decent, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Boy And The Tiger
Yoñlu
A Society in Which No Tear Is Shed Is Inconceivably Mediocre
(Luaka Bop, 2009)
more details
( ( ( ) ) )


(il suono carsico)

Bresil: Le Chant du Nordeste 1928-1950
Various Artists (Frémeaux & Associés, 2004)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 5 commenti

Reines D’Angleterre
Globe Et Dynastie

chiedo perdono se torno a breve su di un argomento da assai poco preso qui in considerazione, ma, come diceva assai meglio di me un poeta partito anzitempo: ho sempre avuto pochissime idee… ma in compenso fisse. Ghédalia Tazartès è una di queste.
sarà per quel nome salgariano, sarà perché continua a sfuggire alla logica (qualsivoglia logica), sarà perché continua a pensare e realizzare musica che ti porta lontano senza chiederti di percorrere un centimetro, sarà perché mi appare in sogno (succede anche questo), sarà perché è inquieto, instabile, imprendibile e altri aggettivi che cominciano per “i” a piacimento di chi legge.
così non si fa in tempo a metabolizzare il più recente lavoro che eccolo spuntare con la pelle mutata, con diversi compari e con quel bastimento di suoni inusitati e inauditi (o altri aggettivi a piacimento che principiano con “i”).

il progetto Reines D’Angleterre lo vede sin dal 2008 affiancato da Jo Tanz (a sinistra) e él-g (coinvolti a loro volta, senza Tazartès, nel duo Opéra Mort) in una specie di avamposto elettroacustico impegnato ad esplorare le possibilità di coincidenza fra elettronica, glitch, ethno psicotica, la poesia di Tazartès e l’incontestabile amenità del caos (o caso anagrammando). il loro primo disco Les Comores (Bo’Weavil, 2010) raccoglieva registrazioni dal vivo dei primi vagiti di musica concreta improvvisati su labili (e coraggiosi) palcoscenici d’europa: c’era aria di bric-à-brac sonoro e vocale assemblato con negligenza e voluta imperfezione.

ecco dunque giungere il secondo episodio di questa epopea dal titolo Globe Et Dynastie (Bo’Weavil, 2012). cinque tracce senza titolo registrate questa volta in studio a rendere ancor più indefiniti i contorni di questa traiettoria febbrile. potrei provare ora a raccontare di che musica stiamo parlando, ma a quest’ora sono sobrio e già divertito dai tentativi altrui testé letti. credo invece sia giusto dire che il tappeto concreto/elettroacustico srotolato dai due smanettatori francofoni sarebbe sterile (e tutto sommato già udito) senza l’intervento di Ghédalia Tazartès che, da vero squadernatore di ascolti confortevoli, delira senza limiti il suo campionario di etnomusicologia fantastica: vagiti, sciabordìi, ululati, gramelot, oggetti percossi, strisciati, ingoiati. forse, ancor più che tentare di definirla, è bene dire che questa musica (questo suono amniotico?) non assomiglia a niente di precedentemente udito, in natura o su supporto acustico… e mi piacerebbe pure venir smentito.

il valore aggiunto (eccome) è la capacità di non prendersi sul serio, direi quasi di prendersi pure per i fondelli al fine di liberare la musica creata da ogni pesante drappo concettuale. sarà anche questa una delle mie poche idee fisse, ma l’autoironia resta pur sempre un valido elisir di buona vita. insieme a Ghédalia Tazartès, certo, nella speranza di poterlo vedere sorridere dal vivo. buon ascolto.

Pubblicato in 2012 | 2 commenti

Peter Brötzmann & Jason Adasiewicz
Going All Fancy

una delle delizie del fine settimana appena trascorso è stato immergersi nella lettura dell’articolo/intervista realizzato da David Keenan in direzione dell’universo di Peter Brötzmann apparso sul numero 345 della rivista The Wire.

il percorso è stato impervio, fangoso, ruvido, persino freddo. ma benefico come una doccia gelata, come un bicchiere di distillato ingoiato a bruciapelo. sentiero difficile è rude quello di Peter Brötzmann fatto di solitudini ed anarchia, di suono irrascibile, arcigno. ma la sua traiettoria sa avanzare in modo carnale, brillare di viscera e di urgenza, di febbrile desiderio di vita, agra e splendida.
tengo a malapena aggiornato la quantità delle collaborazioni di Peter Brötzmann a causa della sua febbrile attività, per cui ho strabuzzato gli occhi quando la mia insaputa ha sbattuto il naso nel nome di Jason Adasiewicz (di cui già si parlò qui e qui). un duo Brötzmann / Adasiewicz: possibile? due click e l’epifania è servita.

sarei davvero curioso sapere dove e come i due si siano incontrati, ma, nell’attesa di scoprirlo, mi godo la conferma di questa collaborazione rimbalzando fra la mezza dozzina di siti carbonari che seguo e non fanno altro che confermarmi la notizia. fino a pochi giorni fa impegnati in un mini tour statunitense i due si aggirano randagi nello spazio occidentale ancora in grado di ospitare concerti come il loro. vendono a fine concerto un disco (per ora l’unico) realizzato per la Brö Records e distribuito via Eremite: è la registrazione di un concerto tenuto l’8 giugno del 2011 all’Abrons Art Center di New York. 3 brani in tutto. Peter Brötzmann all’alto e al tenore, nonché al clarinetto e al tarogato. Jason Adasiewicz al vibrafono con tutto l’apparato percussivo di ammenicoli in grado di accarezzare (o violentare) il suo strumento.

Going All Fancy (Brö Records, 2012) è questo incunabolo di crude preghiere innalzate alla divinità dell’improvvisazione. nudità di metalli, asprezze ad arrugginire note con saliva e sudore. Adasiewicz percuote e srotola un tappeto algido su cui Peter Brötzmann innerva quel suo fraseggio aspro e disperato. poi si guardano e si scambiano gli assoli ulcerando il suono di acido e malatamente sognante. un disco difficile come lo è tutta la discografia di Peter Brötzmann. difficile non vuol dire inafferrabile: difficile è la fatica di raggiungere un suono e delle vette di radicalità per poi guardarsi indietro a sentire l’orgoglio della fatica. la stessa fatica che ci viene richiesta a noi ignari auscultatori tenuti all’oscuro dalle traiettorie improbabili che i due si scambiano da dietro le trincee dei loro strumenti.

Ben Ratliff, il giornalista del New York Times che ha scritto le note sul sito dell’etichetta, racconta di aver visto il duo nel locale Le Poisson Rouge preceduto da un set dei due compagni di etichetta Joshua Abrams e Chad Taylor.
ora so cosa chiedere a babbo natale nella mia letterina.
buon ascolto

Pubblicato in 2012 | 3 commenti

la radio uabab #2

Radio Sonora
la radio uabab #2
venerdì 19 ottobre 2012 ore 21,00
(replica sabato 20 ottobre ore 21,00)
p o d c a s t


Amber Sky
Gareth Dickson
Noon (12k, 2012 Ep)
more details
( ( ( ) ) )


Heart
Bryan Ward
Bone Anthems (2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Section III
Duane Pitre
Feel Free (Important Records, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


She’s the Star / I Take This Time
Arthur Russell
World Of Echo (Rough Trade, 1986)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Cello Song
The Books feat. Jose Gonzales
A Dot In Time (Temporary Residence, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


(il suono carsico)
Raining
Rolf Julius (Western Vnyl, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 7 commenti

Sotho Sounds
Junk Funk

avevo annusato un vago sospetto di sola (come dicono a Roma) ascoltando e scoprendo i Malawi Mouse Boys, ma non tanto nell’epifania musicale del loro ascolto, quanto piuttosto nella maniera furba e un poco paracula (sempre a Roma) utilizzata dalle case discografiche per annaspare quel poco di mercato musicale morente che rimane da raccimolare (di vile pecunia si sta parlando). Konono N.1 e Staff Benda Bilili hanno tracciato la strada: band urbane (o meno) annidate in qualche luogo sperduto dell’Africa che si adoperano e suonano come possono (meravigliosamente, sia ben detto) strumenti arrangiati, costruiti da sé a creare una vertigine d’esotismo nelle stanche orecchie di pantofolai occidentali assuefatti dalla plastica sonora di radio e tv.
per cui sospetto davvero che l’Africa sia piena di musicisti come quelli appena citati, in ogni angolo del continente ci sarà qualcuno che strimpella qualche stumento, che si unisce in qualche ritrovo collettivo per danzare e cantare un’amara gioia che segna da secoli la ritualità di quelle genti. e allora che fare? liberare il guinzaglio a etnomusicologi d’assalto per scovare il prossimo gruppo da far rimbalzare nell’occidente: con qualche spicciolo in tasca, con la promessa di una gloria fatta di concerti e viaggi ed il miraggio di una vita diversa da quella conosciuta. il colonialismo era poi tanto diverso?

comunque sia per spingersi fino al Leshoto è necessario innanzitutto sapere dov’è il Leshoto, e non è poco. una volta giunti lì magari si chiede se vi siano gruppi di musicisti abbarbicati da qualche parte sulle colline. se poi, puta caso, si viene indirizzati verso un gruppo di giovani pastori che nel tempo libero si dilettano con canti e strumenti e, una volta raggiunti, li si vede agghindati come nella foto sopra, sono convinto che all’etnomusicologo d’assalto gli brillino le carte di credito. da parte loro, questi giovani pastori credo siano anche più furbi di quanto credano essere i discografici ed in qualche modo anticipano i desideri dell’uomo bianco facendosi trovare abbastanza esotici da fargli credere di aver trovato l’America.

è così che nasce questo funky spazzatura per l’etichetta Riverboat: Sotho Sounds Junk Funk (2012) è il primo disco (certo) di questi ragazzi (che dice quattro, chi sette, chi un numero ad assetto variabile) che di giorno transumano le pecore per le alture del Leshoto e che a tempo perso si costruiscono strumenti di fattura occidentale (chitarre, bassi e batterie) e intonano i loro canti polifonici in beata allegria. c’è da dire che di funky nel disco non v’è traccia, per nulla. semmai le sembianze e le vesti dei nostri potrebbero ricordare gli anni ’70 afroamericani ma di groove neppure l’ombra. le registrazioni sono in perfetto stile lo-fi da etnomusicologi d’antan ed il disco è aperto e chiuso da due field recordings giustamente inseriti all’uopo di farci assaporare i suoni pastorali di queste alture. Be Ea Bojoa è infatti quantomeno straniante: latrati di cani, grida di bambini, un cordofono monocorde, volatili vari, fischi bovari e richiami rituali della pratica della pastorizia introducono ad un disco per certi versi delizioso malgrado i sospetti di cui sopra.

siamo in quella grande area musicale sudafricana di canti e risposte, coralità già scoperte dall’occidente, ma di diverso si aggiunge quello stridore verace prodotto dagli strumenti autocostruiti che spiazza le nostre orecchie abituate alla consuetudine. le loro performance dal vivo (perché sono già cominciate, sia chiaro) dicono essere travolgenti e variopinte. la foto qui sopra li ritrae di fronte ad un pubblico bianco sorridente e stupito ma di certo io li preferisco pacchiani e gigioni nel bel mezzo del loro habitat naturale, furbi e consapevoli di trovarsi di fronte ad una telecamera che li porterà direttamente dove non avrebbero mai immaginato di giungere.

a me non resta che suggerire perlomeno l’ascolto perché penso ne valga la pena. sia i Sotho Sounds che l’etichetta discografica sapevano a memoria dove volevano arrivare (op.cit.) e quindi è bene tributargli quel giusto merito di salgariano esotismo.
la mia curiosità, una volta colpita, cede volentieri a queste delizie tralasciando per pochi istanti l’etica e le ragioni di mercato. magari se ne può parlare, volendo, prima che spunti fuori la prossima scoperta dal continente più vivo dell’universo.
buon ascolto

Pubblicato in 2012 | 5 commenti

la radio uabab #1

Radio Sonora
la radio uabab #1
venerdì 12 ottobre 2012 ore 21,00
(replica sabato 13 ottobre ore 21,00)
p o d c a s t


Chihlet L’ayani
Orchestre El Gusto
Orchestre El Gusto (Warner, 2012)
more details
( ( ( ) ) )


Koutémoué
Zoufris Maracas
Prison Dorée (Chapter Two, 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Couple Ya Bolingo
Franklin Boukaka
Survivance (Bolibana Collection) (Bolibana, 2012 [1967])
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Karibu Ya Bintou
Baloji with Konono N°1
Kinshasa Succursale (Crammed Discs, 2011)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


Ndinasangalala (I Was Happy)
Malawi Mouse Boys
He Is #1 (Independent Records. 2012)
more details
( ( ( ↓ ) ) )


(il suono carsico)
Bush Taxi Mali
Field Recordings From Mali (Sublime Frequencies, 2004)
more details
( ( ( ↓ ) ) )

Pubblicato in la radio uabab, la radio uabab 2012/2013 | 7 commenti

la radio uabab

avrei dovuto sospettare che questi due blog (questo e quello) mi avrebbero spinto verso la radio: da una parte loro stanchi di trasmettere musica “muta” fatta più di parole e link, dall’altro io che alla radio ho sempre appiccicato le orecchie (senza essere ancora capace di smettere) girando i pomelli del tuning o schiacciando i tasti di una filodiffusione (sic!).
ci siamo spinti a vicenda insomma, per certi versi azzardati trepidanti verso quella radio che da qualche tempo può materializzarsi anche nel web.
Radio Sonora è una di queste web radio capace di trasmettere in ogni dove ma fisicamente ubicata a pochissimi chilometri dalla mia casetta; mi sono timidamente proposto e ho trovato accoglienza entusiasta e disponibile. e per questo ringrazio.

la radio uabab è il nome dello spazio di cui mi prenderò botanica cura. 30 minuti (circa) settimanali in onda ogni venerdì sera alle ore 21,00 ed in replica il giorno successivo (sabato) sempre alle 21,00. dopodiché la puntata sarà disponibile in podcast nei giorni immediatamente successivi dal sito della radio (e certamente su questo blog).
spero mi verrà perdonato il mio provinciale accento romagnolo e la mia scarsa professionalità di speaker radiofonico; dal canto mio tenterò di farmi scusare diffondendo più musica che parole, tenendo aggiornato il computo delle puntate e dei brani trasmessi dandone notizia su queste pagine e naturalmente rendendo disponibili le musiche di cui vado cianciando, sia come podcast (appunto) che come suggestioni d’ascolto (le solite, per intenderci).

si parte dunque venerdì 12 ottobre e via di seguito per le settimane a seguire: ogni venerdì. mi sono già accorto che mezz’ora è stretta e stringata come certe cuffie (da piscina) d’infanzia. proveremo lo stesso a far circolare il sangue nelle tempie e nei dintorni delle orecchie affinchè giunga laddove è più benefico. la musica, come già si sa, è in grado di fare il resto, malgrado me.
a chi avrà il tempo, la voglia e la benevolenza di offrire la propria attenzione auguro buon ascolto. stay tuned (era da tanto tempo che volevo scriverlo), a presto.

Pubblicato in la radio uabab | 37 commenti

The Tiger Lillies
The Ballad Of Sexual Dependency
The Rime of the Ancient Mariner
Hamlet

sono sinceramente sorpreso della prolificità di alcuni artisti (amati) che, anticipando i desideri di noi fedeli ascoltatori, realizzano progetti con una rapidità che sorpassa oltremodo le mie (le nostre) attese più celermente ottimistiche. John Zorn e Rob Mazurek, in questa categoria, sono in fuga solitaria da molto tempo: due fughe lungimiranti, febbrili, deliranti che è bene augurarsi non viaggino su due rette parallelle.
assieme a loro è un piacere privato aggiungere The Tiger Lillies: li avevo lasciati un anno addietro con il loro Woyzech pensandoli nel frattempo a riposo o meditabondi su nuovi progetti da realizzare, mentre in realtà pare che questo loro anno trascorso non abbia avuto un solo istante di sosta.

direi di più. pochi mesi prima del tour e del disco Woyzech i Tiger Lillies avevano collaborato con la fotografa statunitense Nan Goldin nella sonorizzazione dal vivo del suo celebre The Ballad of Sexual Dependency: una lunga suite in cui crude canzoni inanellate accompagnavano le immagini altrettanto dure che scorrevano sullo schermo sovrastante. non è difficile comprendere il perchè di tale sodalizio: la sfera più intima, fragile e lasciva di ogni individuo è il campo d’azione dove da tempo si muovono circospetti i due artisti. il disco uscì nel 2011 per la Misery Guts Music a testimoniare la registrazione integrale di una di queste performance dal vivo.

e così dopo The Ballad Of Sexual Dependency e il Woyzech i Tiger Lillies decidono di inaugurare l’anno affrontando uno dei capolavori della letteratura romantica inglese. The Rime of the Ancient Mariner fu pubblicato dal poeta inglese Samuel Taylor Coleridge sul finire del 1700 per narrare l’epica dell’uomo e del mare: i Tiger Lillies si sono tuffati a capofitto in questa avventura facendosi accompagnare da alcuni musicisti e portando in tour questa rappresentazione fatta di canzoni costruite sul testo del poema.

una scenografia da teatrino decadente, canzoni dolenti e il solito falsetto malato di Martyn Jacques sono accompagnati dalle narrazioni di Freddi Price; ne è nato un doppio cd uscito nella primavera scorsa per l’etichetta del gruppo.

ma come si diceva più sopra non ci sarebbe stata la sorpresa se l’anno dei Tiger Lillies si fosse fermato qui. loro infatti hanno deciso di buttarsi pure nel più classico dei classici sulla morte imperiale, quell’Hamlet di William Shakespeare che li ha visti calcare la scena assieme ad una compagnia teatrale per portare in tour l’opera. anche qui le canzoni a punteggiare il dramma reale danese, un doppio cd ancora.

non c’è trucco e non c’è inganno: le canzoni sono davvero originali, bellissime e viene da chiedersi quante ore duri la giornata dei Tiger Lillies.

il loro Brechtian Punk Cabaret (la definizione non è mia, ma è tanto bella) pare non aver pace, la loro febbrile voglia di cantare le splendide miserie umane inesauribile. in questi giorni sono ancora in tour, come se non bastasse. le grandi capitali europee con i loro teatri classici sono le loro mete predilette ma, sorpresa delle sorprese, sarà Bolzano (il 16 novembre 2012) ad ospitare l’unica data italiana in programma. avvisati quindi tutti coloro che vivono in quello spigolo italiano e chi vorrà arrampicarsi fin lassù.
dovrei chiudere qui l’aggiornamento sulle peripezie dei Tiger Lillies ma le sorprese paiono non essere finite: il 22 luglio scorso i tre erano a Varsavia per sonorizzare dal vivo il celeberrimo e orrifico muto The Cabinet Of Dr.Caligari di Robert Wiene (1920) e queste immagini non mentono…

non sorprenderebbe l’arrivo imminente di un nuovo disco.
il fan e l’ascoltatore appassionato ringrazia gli artisti per il loro spendersi senza misura e risparmio, di questi tempi è quanto mai apprezzato.
che lo spettacolo vada ad incominciare…

Pubblicato in 2012 | 6 commenti

Ghédalia Tazartès
Coda Lunga

attendere un nuovo disco di Ghédalia Tazartès vuol dire prepararsi all’inaudito. il “nemico” può giungere da ogni dove, annidarsi nell’incogruo, albergare l’inatteso oppure accovacciarsi laddove meno lo si attende: nei nostri ascolti segreti e immaginifici.
ad un’artista che ha già da tempo abbandonato le stupide etichette che noi umani tendiamo ad affibiargli per inoltrarsi verso quella musique inclassable che lo ha accolto a padiglioni aperti, non è pensabile soppesare ogni suo nuovo lavoro con umili retaggi stantiì e obsoleti. Ghédalia Tazartès rappresenta oramai solo se stesso e sono certo che scanserebbe ritroso anche questa sciocca definizione; ci consente di seguirlo (se ci riesce) e questo tanto basta.
si alzano polveri dall’oriente indiano e sembra giungere dalle regioni del Kerala la nuova elucubrazione acustica dell’artista errante: Coda Lunga (VON, 2012) è il resoconto madido di delirio di un duplice viaggio nelle regioni meridionali dell’India, fra registrazioni sul campo, interferenze spirituali, ornitologia tascabile, colonialismi rigurgitati. l’itinerario improbabile che non troverete in nessuna guida, l’illogico errare metafisico che suscita persino dubbio sulla reale esistenza di questo pellegrinaggio.

Ghédalia Tazartès riporta a casa un taccuino concrete di chincaglierie acustiche, rubate dal fango, scrollate dalle mosche e stipate dentro una memoria febbrile che ciondola. sciamani, randagi, annunci ferroviari, una bollywood carpita di sguincio arrampicandosi su di un muro e quelle litanìe (tanto care al nostro) che sono la somma dei cori umani rivolti al divino. arie malsane, agguati improvvisi, ipnosi. musiche inaudite, ma di questo eravamo stati avvertiti.

così come è bene allertare l’equipaggio a bordo della natura malarica ed appiccicosa di questi suoni, dell’improbabilità di tornare al punto di partenza e dell’assenza completa di generi di conforto o lussi in genere.
si viaggia soli o tutt’al più in compagnia di Ghédalia Tazartès: come preferite.
buon ascolto.

Pubblicato in 2012 | 3 commenti

Mike Cooper / Viv Corringham
Rembetronika

ho (inaspettatamente) il piacere di ricevere mail e commenti da parte di Mike Cooper: e posso davvero dire che si tratta di piacere. la sua vita errante e la mia pigrizia indomita non ci hanno ancora permesso di stringerci la mano, ma entrambi sappiamo che succederà e per ora ci vogliamo bene come due amici emigrati in direzioni opposte. questo blog prova a seguire la sua carriera zigzagante e vagabonda e lui, umanamente, non smette di sostenerlo.
l’ultima missiva di Mike Cooper (con il suo italiano divertente) mi annunciava l’uscita della rinnovata collaborazione con la cantante Viv Corringham nel progetto Rembetronika.

il disco esce per l’etichetta Hipshot (Hip 030, 2011) dello stesso Mike Cooper e vede la partecipazione di Chris Abrahams, Roger Turner e Lol Coxhill (e questo sia il mio modo di salutarlo da qui). Greek Rembetika music re-located/re-configured into electronic soundscapes questa l’esplicazione data dallo stesso Cooper. per chi conosce la musica rembetiko e l’approccio di Cooper all’universo musicale non sarà difficile fare l’addizione e non restare spiazzati, a tutti gli altri lascio il piacere della sorpresa. territori elettronici improvvisati attraversati dalla chitarra di Mike Cooper fanno da scenario alle litanie di Viv Corringham che, organicamente, prova a traghettare questa musica fuori dal suo tempo dimenticato, oltre le crisi di una nazione e verso una possibile rinascita.

il disco ha due peculiarità fondamentali: innanzitutto è di ottundente bellezza e in secondo luogo è stato pubblicato da Mike Cooper con licenza Creative Commons (si chiama ancora così?) ossia gratuitamente scaricabile da qui. è evidente come la lezione avanguardista di Mike Cooper non si espliciti solamente nella sua musica ma anche nella maniera di offrirla. i suoi 70 anni stanno dando lezioni di modernità è attualità a vecchi bacchettoni borbottanti che non riescono ad abbandonare un vecchio sistema di fruibilità musicale che sta imbarcando acqua da tutte le parti, mentre loro provano a svuotarlo con la tronfia nostalgia del passato che fu e con un mestolo forato.
l’imprendibilità di Mike Cooper, la sua sfuggente creatività sono il blasone più nobile di cui un musicista di questo tempo dovrebbe fregiarsi: lui lo fa perseguendo la bellezza e quell’umile trascuratezza che dovrebbe contraddistinguere gli umani.
buon ascolto e, come mi scrive Mike Cooper, tutti a Grecia!

Pubblicato in 2011, 2012 | 1 commento