uabab, di nuovo

l’ammissione stessa di un trasloco in atto serve più che altro al traslocante (si dice?) per attenuare le idiosincrasie dell’elaborazione del gesto luttuoso in sé. ho cercato di farlo con la lentezza necessaria a non farmelo sembrare cruento o straniante, ma a questo punto mi sembra pressoché effettuato e posso sedermi sul divano a bere una birra.
e naturalmente annunciare (ed annunciarmi) che il trasloco è completato: ci sono volute la diligenza del buon padre di famiglia di Luca e la pazienza (e la competenza) di Alice ma da qualche giorno il lucignolo uabab è di nuovo a scorrazzare per la rete.
cosa fosse (e cosa sia) uabab ebbi già modo di scriverlo un anno esatto addietro, qui.
le intenzioni non sono cambiate, anzi. solamente la locazione del blog che è esattamente sul giardino nel retro di questo blog, appendice e rifugio peccatoribus. perché è bene separare la pula dal grano, le parole e i discorsi del blog principale dall’attività irrequieta di ascolto e condivisione delle musiche che riempiono i miei giorni.
così, rovesciando ed estendendo il pensiero di un protosocialista mi metto a fare agli altri quello che vorrei fosse fatto a me: condividere, suggerire, donare e scambiare la musica necessaria alla (mia) esistenza.
il ritorno di uabab ha portato con sé pure five easy pieces, che si trova qui a fianco, mentre la causa e la ragione di tutto questo trasloco è nel cortile sul retro, dietro un’esile staccionata a forma di /, facilmente scavalcabile.

http://www.borguez.com/uabab/

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14 risposte a uabab, di nuovo

  1. SigurRos82 scrive:

    Eheheheheh, tutto è tornato alla normalità 🙂

    Yuppie! E grazie, come al solito!

  2. marco scrive:

    bentornato. arrivederci.

  3. diego scrive:

    uabab! (all’occorrenza diventa esclamazione di giubilo)

  4. GM scrive:

    Bene, amico mio, ma un dubbio è quantomeno giusto porselo, soprattutto se si ha a cuore ciò che è giusto e l’effetto delle proprie azioni. E scusa se vengo qui a disturbare, ma non è certo per fare il grillo parlante, ma la parola “protosocialista” mi ha quantomeno stuzzicato.
    Almeno in Africa la maggioranza dei musicisti fanno la fame, e le produzioni locali di musica chiudono per causa della pirateria, cioè della distribuzione di musica senza il pagamento dei diritti e delle spese di produzione. Un esempio di manifesto degli artisti maliani contro la pirateria lo trovi qui.

    http://www.mali-music.com/Mag/Mag2005/Manifeste_Mai_2005.htm

    Cosa accadrebbe, allora, se nessuno pagasse per godere della musica? Forse che non sta già accadendo qualcosa? Come è giusto dunque comportarsi a riguardo?

    Un caro saluto, GM

  5. alice. scrive:

    gm mi interessa moltissimo leggere opinioni intelligenti su questa faccenda. non perché io sappia occuparmi di musica. miseriaccia… affatto in confronto a voi tutti. ma m’impegno sempre invece a capire quali sfumature si scorgono nella parola “cambiamento”.
    tutti vogliamo, chiediamo e a ragione pretendiamo che il nostro lavoro ci venga “pagato”. tutti noi e per qualsiasi mestiere. non amo differenziare troppo i maliani dai francesi o i musicisti dagli operai. il mondo è mondo e i diritti inalienabili non dovrebbero essere messi in discussione rispetto a nessuna parte del globo. partiamo quindi da un concetto/principio di giustizia sul quale credo siamo più che d’accordo. ma sei d’accordo con me se affermo che ci sono mestieri che dipendono dal livello di evoluzione che l’uomo riesce a conquistare strada facendo? la dipendenza a cui mi riferisco non possiede connotazioni positive o negative. ma così fu, così è e così sarà. i braccianti agricoli di quando mia nonna era ragazza si sono “dovuti” trasformare in operai attorno agli anni ’60. Ho studiato grafica con Munari e Rauschenberg come modelli e poi mi sono ritrovata a dover imparare la tastiera, il Mac, il linguaggio html, come non avevo chiesto.
    Fra non molto le agenzie di viaggi chiuderanno a frotte perché è facile la libertà di organizzarsi un viaggio. E i postini si gireranno ancora un poco i pollici per poi capire di dover essere reinventati in altro, visto che le cartoline in carta e francobollo non ci sono più e le bollette si pagano altrove.
    la musica è “passata” attraverso l’oggetto. la tecnologia umana ha reso possibile portare in casa strumenti, voci e poesia prima coi vinili, poi coi nastri magnetici, per ora coi compact disk. che fortuna. la musica ha potuto concedersi una specie di autotrasporto veloce. è successo che l’uomo ha inventato altro però, ha inventato il “teletrasporto” in un qualche modo. e io credo che siamo solo all’inizio. ai cavalli abbiamo a malapena tolto la coda e messo le ruotine… alle automobili arriveremo presto e chissà a cos’altro ancora del resto.
    non credi che sia la musica a dover forzatamente dipendere dal cambiamento? non ne faccio davvero questione di globalizzazione, capitalismo o ricchezze dei pochi.
    non credi che l’evoluzione umana stia semplicemente forzando alcuni mestieri a “scomporsi per poi ricomporsi”?
    un ultimo pensiero (e già mi scuso per lunghezza enciclopedica): mia figlia di 10 anni ha ascoltato – e continua a farlo – infinitamente più musica fino ad ora di quanto io abbia mai fatto alla sua età. e questo per una facilità, libertà ed economia di fruizione che ai tempi era inimmaginabile. certo, ricordo ancora con affetto la prima cassetta che sono riuscita a comperarmi. ma lei ti sa riconoscere bob marley adesso con tre note di intro. questo è impagabile (appunto). ma ammetto che l’emozione di assistere a un concerto è per lei quella che era per me. e ogni volta resiste. come resiste per me.
    forse il “teletrasporto” ha modificato la materia in cui la musica bussa alle porte, ma le emozioni e la pelle d’oca e l’improvvisazione e la sorpresa non sono trasportabili ancora. che sia questo il segreto su cui devono puntare i musicisti: dal vivo, il live? io credo. io, profana nella musica ma curiosa di ciò che cambia, adesso credo questo.

  6. Costantino scrive:

    …se tutto questo non esistesse (la rete e la condivisione)…forse non ci saremmo mai conosciuti, fratello Giulio Mario.

    borguez e alice…a voi vi porto nel cuore.

    Saluti africani.

  7. birdantony scrive:

    mi mancava il tuo occhio sull’altra parte del mondo! bentornato!!!!!!

    • Costantino scrive:

      …vivo, vegeto, forte come non mai e carico come un somaro di novità (ne riparleremo!).

      Apprendo da lontano che in Italia neanche a Natale si ammazzano più i maiali…Dommage!!

      Al mio amico Antonio uccello suggerisco l’isola degli uccelli sulla Langue de Barbarie al Nord del Senegal…un paradiso dove potrai volare e planare libero come non mai su una laguna selvaggia e incontaminata…un posto che gli Dei hanno costruito…per fare all’amore!!

      Salutoni e…

      A’ Bientot.

  8. Jazz from Italy scrive:

    Dovrei iniziare questo commento, sottolineando quant’è volatile l’animo umano che una volta grida al miracolo quando un blog salva dall’oblio un’assenza imperdonabile e, un’altra, grida allo scandalo quando quell’assenza di prima, trasformata in nuova presenza liquida, è disponibile ai più.

    Oppure dovrei cominciare facendo un mea culpa, ‘chè anch’io sono uno spacciatore di emozioni, senza chiedere nulla in cambio.

    Ma forse dovrei aprire il commento specificando che a Gimà gli voglio bene, rispetto le sue scelte ed apprezzo moltissimo quello che, con Alessandro, la Lycke e RiBiKing, fanno su T.P. Africa ma, insomma, da qualche parte dovrò pur cominciare…

    A parte il fatto che l’articolo, mi sembra, punti il dito su chi della pirateria fa il suo piccolo business da corsaro da quattro soldi di latta, non su chi diffonde per il puro piacere di condividere, cioè di spartire la spesa e l’impresa, forse ci dovremmo interrogare sul perchè tanti artisti hanno iniziato a rinnovare la loro idea di condivisione della propria opera, rischiando pure sui loro guadagni, ma garantendosi l’aggiornamento, la continuità e la fedeltà degli aficionados, e del perchè alla crisi gridano sempre e solo i produttori (che magari sono i primi a pagare pochi spiccioli agli artisti), o quegli artisti “poveri” che non riescono ad evolvere insieme alla loro musica.

    Mi viene in mente ad esempio la ArtistShare, che da un’idea di Brian Camelio nacque proprio chiedendo ai propri fan, già dal 2000, di investire nelle sue produzioni, da distribuire poi su internet.
    Cito: «È come quando qualcuno è disposto a spendere di più, giusto per il piacere di avere i posti in prima fila di fronte al suo musicista preferito, e compra quel particolare biglietto ovviamente prima che il concerto avvenga. Perché non dovrebbe farlo per un disco che rimane per sempre? Per il primo disco (“Concert In The Garden”), avevamo a disposizione solo l’elenco dei fan di Maria Schneider, una lista di 500 email, ed avevamo stabilito diversi gradi di intervento, da 9.95 dollari fino a diecimila e con denominazioni di livello oro, argento, bronzo per i contributi più sostanziosi. Gli appassionati di tutto il mondo, a seconda del denaro concesso, potevano godere di esperienze che non avrebbero mai avuto occasione di vivere, entrando in contatto con i propri beniamini e in certi casi il contatto poteva trasformarsi anche in qualcosa di più.
    Per “Sky Blue”, sempre di Maria, una persona inviò ben diciottomila dollari! Un fan, da solo, che evidentemente poteva permetterselo: lo abbiamo invitato come ospite speciale alla cerimonia di premiazione dei Grammy a Los Angeles con il posto accanto alla compositrice».

    A questo punto vi chiederete «ma chi cazzo è ‘stò Camelio???»

    Beh, la ArtistShare ha pubblicato in forma liquida lavori di Jim Hall, Maria Schneider, Bob Brookmeyer, Danilo Pérez, Chris Potter, Cuong Vu, tra i primi che mi vengono in mente. Vedete quì, se volete sapere di più : http://www.artistshare.com

    Certo, la ArtistShare non è la panacea, ma è un tentativo che, se non ricordo male, avevano già fatto la ReR di Chris Cutler’s, i Radiohead, Mike Westbrook e prima ancora che la rete fosse questa, Mingus, Sun Ra, l’AACM, la Free Music Production e chissà quanti altri che non cerco su gOOgle, almeno per togliersi dalle grinfie dei produttori, mai invece sottraendosi alla condivisione dei cultori.

    Cito apposta questo particolare esempio, perchè voi non penserete «ma 18.000$$$ per un progetto come questo, li pò dà solo un americano, chi cazzo è che investirebbe ‘ste cifre per Ali Farka Touré, Salif Keita, Oumou Sangaré, Habib Koité, Amadou & Mariam, Manu Dibango, Toumani Diabaté, Idrissa Soumarao???»

    Voi sapete che non esiste una musica alta ed una musica bassa, voi lo sapete bene, esiste solo buona musica e, si spera, con energia rinnovabile.
    E forse questo è un altro problema.

    Per esempio, penso alle rivoluzioni multiple che hanno attraversato il jazz (dixie, swing, mainstream, bOp, cool, Hard-Bop, free, fusion) ed a quante volte il pubblico si è dovuto rinnovare di conseguenza.
    Forse, lo dico da ignorante provocatore, la lentezza atavica nel rinnovarsi della musica del continente africano, fa sì che i suoi fan siano ancora in trepida attesa per le famigerate cassette originali?

    Ricordo ancora quando Frank, di passaggio a Roma nel suo tour europeo, raccontava dei ragazzi africani che gli chiedevano perchè lui cercasse quella musica vecchia…

    Forse sarebbe più utile agire per fare in modo che in ogni villaggio ci fosse libero accesso alla rete, forse, e dico ancora forse, dovremmo insegnare agli artisti africani a costruirsi un portale autogestito verso il mondo da dove sia possibile ascoltare, conoscere, diffondere e, perchè no, trovare tanti piccoli produttori appassionati per costruire, un domani, la musica che più ci piace.
    Forse è proprio in questa forma di scambio che si possono azzerare le barriere…

    Io, che condivido tutto il possibile, penso di avere comprato più dischi di qualsiasi altro normodotato che non ha mai avuto un rapporto con il download, e di questo, ne sono certo, potrei dire lo stesso di molti di noi.

    “cambiamento” dice alice, e guarda un pò da una chiusura forzata che nuova forma lucente e sonora ha dato allo spazio del borgz…
    poteva mettere per centosessantaseianni una fascia scura al braccio e gridare che i censori uccidono i liberi pensatori, invece una mano di biancocalce, una scritta pura & semplice et voilà, borguez ahead!

    Insomma, senza che mi dilungo ancora su come sarebbe giusto comportarsi al riguardo (che io sò ‘no scriteriato, che ne sò di cosa è giusto), spero solo che Gimà non confonda il vero verso del uabab, al quale i bambini spontaneamente non ci credono fino a che non sono i grandi a dirgli che è vero, e per finire, insomma, dico che questa storia che il dwnload faccia male agli artisti, è un pò come dire che il problema di Palermo, è il traffico…

    vi abbraccio tutti.

    p.s. w. lOv.
    a Costantì!!!!!

  9. GM scrive:

    Che bello, le voci degli amici che non riesco a frequentare ….

    La pirateria a cui si riferiscono – ad esempio – gli artisti maliani è il mercato delle cassette illegali. Dicono che su 10 milioni di cassette vendute, 9 milioni sono illegali. A causa di ciò, nel 2005 le due principali produzioni locali maliane – Mali K7 e Seydoni – hanno dovuto chiudere e licenziare i loro dipendenti. Ad essere onesti poi Mali K7 ha riaperto, non so Seydoni.

    E’ ovvio che uabab non ha nulla a che vedere con i pirati che guadagnano sulla musica di altri senza corrispondere nulla agli artisti. E’ vero anche che non tutti i produttori di musica sono uguali. Un conto sono le multinazionali, un altro sono Mali K7 e Seydoni. Questi ultimi producono con pochissimi mezzi, e per fortuna che ci riescono.

    Quello che sto dicendo non è certo “questo è giusto, questo è sbagliato”, non sto spacciando certezze, ma dubbi. E’ semplicemente che il problema degli artisti e delle etichette indipendenti che non ce la fanno è reale e non solo in Africa, e che credo che questa discussione sia giusto farla e aiuti la consapevolezza. Perchè non possiamo “essere sicuri” che sia giusto condividere ciò su cui altri contano per vivere. Forse è giusto, ma forse non lo è. O meglio ancora, è giusto “e” non lo è, entrambi.

  10. borguez scrive:

    giungo in ritardo colpevole ma nessuno dei commenti qui sopra ha mancato di suscitare pensieri in questa testa già oberata. innanzitutto ringrazio chi saluta il ritorno di uabab con felicitazioni varie: mi fanno piacere. ed è in quel piacere di condividere che sta il confine ultimo e la ragione di quel blog.
    i dubbi, le perplessità ed i ragionamenti che suscita questa maniera di condividere la musica, in questi tempi internautici, assillano pure me. per questo mi solleva che anche G.M., alice e Jazz From Italy non mi abbiano fatto mancare le loro opinioni (i loro dubbi?).
    ciò che so a questo punto è che convivono in me una parte istintiva ed una razionale che mi fanno fare e pensare cose in apparenza contrastanti. appena scovo una qualche delizia musicale mi nasce spontaneo il desiderio di parlarne, di farla ascoltare a qualche amico e, più in generale, di far sapere a chi legge queste sponde che lì dietro si nasconde una qualche meraviglia. lo faccio da tempi immemorabili, da quando ho imparato a pigiare il tasto rec di un tape recorder. tante cose sono cambiate, ma l’istinto passionale di quel gesto non è cambiato.
    la mia parte razionale è invece combattuta e incerta sul da farsi, su quali interessi tutelare e quali mondi poter (o non poter) salvare. sarei lieto che qualcuno trovasse una soluzione a questa deriva liquida che sta prendendo la musica, una soluzione consapevole ed equa per tutti gli attori di questa vicenda, dai musicisti fino ai tanti ascoltatori, ma a tutt’oggi non mi pare esserci.
    sono però convinto che le cose stiano cambiando più in fretta di quanto riusciamo a renderci conto e giudicare il cambiamento con gli strumenti di ieri è il primo errore nel quale sarebbe bene non incorrere.
    nell’attesa di comprendere qualcosa in più mi affido all’istinto e faccio quello che ho sempre fatto (faccio quello che farei). uabab è quella cosa lì.

    p.s. Costantino d’Africa non fa mancare il suo supporto neppure da laggiù. mi manca un poco, ma chiedergli di tornare al più presto in questo paese sarebbe come tendergli l’agguato. un abbraccio

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