in un giorno illuminato del 1914 un’imbarcazione lascia il porto di Stone Town per prendere il mare aperto; fra le varie persone dell’equipaggio vi è a bordo anche una donna che volge indietro lo sguardo per rimirare per l’ultima volta il profilo della città in cui è nata e vissuta. lei sa che quella visione ha il sapore di un addio ed è l’esatto principio di ogni nostalgia a venire. da ora in avanti si chiamerà solamente Emily Ruete ed il nome che il Sultano volle per lei resterà per sempre nella città che sta lasciando.
pare davvero l’inizio di un oscuro noir cinematografico, ma non v’è fiction e non v’è inganno: Emily Ruete è stata Sayyida Salme prima di innamorarsi di un mercante tedesco a cui diede due figli e da cui prese il cognome perdendo quello che le aveva dato suo padre Sayyid Said bin Sultan Al-Busaid, Sultano di Zanzibar e dell’Oman.
si deve alla sua celebre autobiografia Memoirs of an Arabian Princess from Zanzibar (tradotto Memorie di una principessa araba di Zanzibar, ma a quanto pare di difficile reperibilità) questa istantanea da cui ha preso le mosse, un secolo dopo, un pregevole edizione dell’etichetta tedesca Winter & Winter.
Memoirs of an Arabian Princess – Sounds of Zanzibar (Winter & Winter, 2014) prova a raccontare alle nostre orecchie le voci ed i suoni che nutrirono quel sentimento nostalgico fra i ricordi della principessa in esilio. lo fanno cent’anni dopo tentando di tèssere un filo della memoria fra la tradizione musicale dell’isola, i rumori dell’odierna vita cittadina, la convivenza comune di religioni e genti e il talento di alcuni dei musicisti più importanti di Zanzibar.
Rajab Suleiman incarna l’anima del tarab suonando il suo qanun assieme al gruppo Kithara e facendosi accompagnare dalla voce di Saada Nassor e dal violino di Saidi Ali Kombo; la comunità Tarbiyya Islamiyya esegue i canti rituali della tradizione islamica con le voci di Aman Ussi, Saloum Suleiman e Makame Haji. i ritmi arabeggianti del collettivo Sina Chuki Kidumbaki attraverso il canto di Makame Faki e Khamis Nyange. poi c’è il coro (cattolico) della cattedrale di St. Joseph che si fonde con il canto mattutino del muezzin nei rimbalzi distanti di campane.
musiche e field recordings che si susseguono in un continuo inebriante di evocazioni e suggestioni che si confondono nel flusso dell’ascolto, così come fanno le memorie attanagliate e confuse nei singhiozzi della nostalgia. la stessa nostalgia che ammalò la principessa e che questo disco prova a lenire a cent’anni di distanza.
e ancor più di un disco una testimonianza acustica, un documento audio da godere ad occhi chiusi con il rischio di perdersi la visione del “falso” noir evocato dalla scena iniziale: ma mai come qui si dovrebbe parlare di cinéma pour l’oreille!
buona visione
Various Artists Memoirs of an Arabian Princess – Sounds of Zanzibar