quattro anni addietro preparandomi a percorrere migliaia di chilometri nella ex-Jugoslavia alla ricerca dello spirito di quei luoghi tentai approssimativamente di raccogliere quante più musiche “idonee” per accompagnare quel viaggio. qualcosa che accompagnasse lo scorrere dell’auto, che lo anticipasse e lo sonorizzasse con i suoni che immaginavo abitassero quella terra: un miscuglio immaginifico di ciò che mi aspettavo che fosse, di quanto conoscevo e di improvvisata nostalgia d’altrove. non sapevo che la perfetta sintesi di ciò che avrei voluto mi accompagnasse doveva ancora essere raccolta e compilata. musiche che avevano effettivamente abitato quei luoghi fino al 1980: anno della scomparsa dell’incomparabile artefice di quella (forzata) coesione nazionale che rispondeva al nome di Josip Broz, da tutti conosciuto con il nome partigiano di Maresciallo Tito. e proprio a lui e alla scansione temporale che identificò l’ultimo periodo della sua influenza fa riferimento il titolo del disco compilato e raccolto meticolosamente da Philip Knox e Nathaniel Morris per l’etichetta Vlax Records e distribuito in collaborazione della prestigiosa Asphalt Tango.
Stand Up, People: Gypsy Pop Songs from Tito′s Yugoslavia, 1964-1980 (Vlax Records/Asphalt Tango, 2013) esplica già nel suo titolo l’essenza meravigliosa racchiusa in queste 19 perle (semi)sconosciute della cultura del popolo rom. fu proprio Tito il primo (l’unico?) statista a riconoscere e dare dignità culturale (e politica) all’eterogenea natura del popolo rom: questa accettazione accondiscendente si palesò persino nelle hit musicali popolari che abitarono la cultura di tutta la ex-Jugoslavia nel periodo preso in considerazione dal disco. Philip Knox e Nathaniel Morris sono andati a scovare questi dischi nei mercatini delle pulci, negli archivi musicologici nazionali e nella continua interrogazione della memoria di un popolo sfuggente (quello rom) mescolato oramai ad un popolo diviso (quello jugoslavo). è lì che hanno scovato i primi tentativi da parte dei musicisti rom di mescolare la loro tradizione secolare con i suoni e le strumentazioni che invasero gli anni ’60 con il beat ed in seguito i ’70 con la “plastificazione” del prodotto discografico. Serbia, Bosnia, Macedonia e Kosovo: da una parte all’altra della penisola balcanica a scoprire veri e propri gioielli musicali che rischiavano l’oblio del tempo.
si va così da Esma Redžepova incontrastata e riconosciuta regina della musica rom al suo re Šaban Bajramovic: fra questi una serie di altri valevoli musicisti e cantanti minori e poco conosciuti al di fuori di quelle culture. le voci maleducate e strazianti, evocative ed epiche narravano questioni di cuore e nostalgie, di partenze ed umane vicissitudini: le musiche della sfuggente tradizione secolare facevano i (primi) conti con le chitarre elettriche, le tastiere e gli effetti sonori dei nascenti studi di registrazione. è così che i tipici ritmi sobbalzanti e saltellanti una volta sostenuti dai cymbalon lasciavano il posto ai tamburi, alle chitarre usate all’uopo con fare ritmico e ai benedetti clarinetti serpeggianti e costantemente ebbri. e poi fisarmoniche, violini e trombe a completare il corollario di queste canzoni brillanti e fulgide di freschezza e fragrante bellezza.
tentare di districare il groviglio della matassa culturale che ha generato queste musiche è lavoro che lascio ad illusi etnomusicologi; il fascino ed il mistero di questo popolo libero risiede proprio in questo imprendibile passato e non varrà quindi riconoscere qui una melodia flamenca oppure là un tema della tradizione indiana del nord. sarebbe un po’ come dire che nel jazz vi sono evidenti parentele con le musiche africane: si sarebbe detto tutto senza spiegare niente.
preferisco godermi da gagè (i rom dividono l’umanità in rom e non rom, ossia gagè) l’incanto di queste musiche suonate e registrate nella purezza dell’incoscienza di quegli anni, musiche appena edulcorate di quello smalto di plastificazione occidentale per venire incontro al pubblico commerciale cercato al di fuori delle proprie comunità.
per quel che vale confesso che è uno dei dischi più entusiasmanti ascoltati negli ultimi tempi: parola di gadjo!
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